Il Cavaliere sa bene che per non perdere deve fermare i centristi
È la conferma che lo scontro più aspro non riguarda tanto la competizione fra Pdl e Carroccio da una parte, e Pd e Sel sul fronte opposto. Si gioca invece soprattutto all’interno dello schieramento che ha dominato la politica negli ultimi anni; e che teme un’erosione dei propri consensi a favore della lista del presidente del Consiglio. Berlusconi dice di sentirsi «un po’ strega», e di annusare una rimonta sulla sinistra ai confini di una vittoria clamorosa.
In realtà , per avvicinarsi il più possibile ad un Pier Luigi Bersani ancora in vantaggio deve ottenere due risultati: portare a votare i delusi ed evitare che l’astensionismo alla fine converga su Monti. Sarebbe un’affermazione del premier dal 14 per cento in su che potrebbe rendere ininfluente il Pdl nei giochi parlamentari postelettorali. Dunque, è questo il primo esito che la coalizione berlusconiana vuole scongiurare. La strategia che punta a schiacciare i centristi e a rendere Monti marginale nasce dunque da un istinto di sopravvivenza politica. Il premier costituisce, di per sé, la prova della caduta della maggioranza di centrodestra nel novembre del 2011; la conferma di quello che lo stesso Pdl visse allora come un fallimento; e la memoria di uno scontro con l’Unione Europea che certificò delegittimazione del premier di allora.
L’insistenza di Berlusconi sull’«imbroglio» dello spread alto (la differenza fra interessi sui titoli di Stato italiani e tedeschi); contro «la falsità troppe volte ascoltata» secondo la quale c’era scarsa considerazione nei suoi confronti nell’Ue; e ancora l’equazione Monti-Germania-rigore, per poi ventilare di nuovo l’uscita dal sistema della moneta unica europea, sono un tentativo di riscrivere la storia dell’ultimo anno e mezzo. Mira a far dimenticare la precarietà e le divisioni di un centrodestra che pure nel 2008 aveva vinto con una maggioranza schiacciante; e a scaricare la crisi economica e la recessione non su quel periodo, ma sul governo dei tecnici.
L’operazione è al limite dell’azzardo, anche perché il Pdl, come il Pd, hanno appoggiato Monti e le sue misure di austerità per oltre un anno. Ma i sondaggi dicono che sta producendo risultati, sebbene sia difficile quantificarli con esattezza. Risulta sempre più chiaro, comunque, che il tentativo di rimonta incrocia più livelli. La prospettiva del governo che si formerà dopo il voto del 24 e 25 febbraio, le sentenze sui processi del Cavaliere e l’elezione del capo dello Stato a primavera sono tre tappe più intrecciate di quanto appaia adesso. La polemica contro i magistrati milanesi che hanno rifiutato di ammettere il «legittimo impedimento» del Cavaliere a partecipare all’udienza di ieri in tribunale, va letta in controluce.
Include il gesto degli avvocati difensori che lasciano l’aula in segno di protesta, e accreditano una condanna già scritta. E la protesta del segretario del Pdl, Angelino Alfano, che parla di «gamba tesa» dei giudici e si rivolge al Quirinale e al Csm. Ma anche il Pd teme di lasciare qualche voto moderato a Monti: tanto più in una fase in cui si registra un’erosione in direzione delle formazioni radicali alla sua sinistra. Il riferimento provocatorio del premier a un Pd «nato nel 1921», e dunque figlio del Pci, è stato bollato da Bersani come «una battuta infelice». Ma la reazione del resto del vertice è più dura. Il capo del governo uscente è affetto da una «deriva simil-berlusconiana», lo bolla il vicesegretario Enrico Letta. Il paradosso è che non si capisce se la lista di Monti sia considerata un elemento di stabilità , o una mina vagante annidata nel bipolarismo: e dunque da disinnescare.
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