Il Cavaliere e il caos le due paure di Barack
La prima minaccia, è un risultato elettorale da cui non emerga una maggioranza netta, in grado di esprimere un governo durevole. La seconda minaccia è rappresentata
da forze «populiste ed anti-europee », che possono riaprire un “caso Italia” dentro l’eurozona. Il terzo pericolo, per tutta l’Unione, è il persistere di un’austerity che sprofonda il continente nella recessione. L’asse Obama-Napolitano emerge dal lungo colloquio di ieri alla Casa Bianca. Trenta minuti erano previsti inizialmente, ma è durato il doppio. Il voto italiano, le sue conseguenze sull’eurozona, sono la ragione principale per cui il presidente della Repubblica è stato invitato a Washington. «Un leader visionario, un grande dirigente dell’Italia e dell’Europa», lo definisce Obama ricevendolo volutamente in un luogo della Casa Bianca che è operativo, non cerimoniale: lo Studio Ovale dove lui lavora tutti i giorni.
Un summit inusuale, tradisce l’allarme dell’Amministrazione Obama. Non s’invita abitualmente un leader straniero alla vigilia di un’elezione. Nè tantomeno gli si organizza una “immersione intensiva” per due giorni ai massimi livelli istituzionali: in sucessione Napolitano ha incontrato la capogruppo democratica alla Camera Nancy Pelosi, il vicepresidente Joe Biden, quindi Obama, infine il neosegretario di Stato John Kerry. Altri esponenti della squadra Obama si sono aggiunti ai colloqui, incluso il capo in pectore della Cia, John Brennan. Una due-giorni di “seminario sulle elezioni italiane” con l’establishment politico di Washington: l’attenzione non avrebbe potuto essere più accentuata. Tanto che Obama ha dovuto moltiplicare le cautele per non dare l’impressione di un’interferenza. «È stato impeccabile», ribadisce più volte Napolitano, per sottolineare che il suo interlocutore ha evitato di formulare giudizi su questo o quel leader politico italiano. Questo non impedisce al presidente americano di indicare le sue preoccupazioni sull’Italia, i rischi da scongiurare, gli errori che la Casa Bianca giudicherebbe gravidi di conseguenze. Napolitano ricorda un precedente: Obama mandò un sottosegretario di Stato a diffidare pubblicamente David Cameron dall’indire il referendum sull’uscita dell’Inghilterra dall’Unione.
Obama aveva invitato Napolitano a novembre: la lettera dalla Casa Bianca al Quirinale partì mentre si apriva la crisi e l’Italia scivolava verso le elezioni anticipate. Obama si è reso conto che nella parte finale del suo mandato Napolitano avrà un ruolo cruciale nei passaggi verso la formazione del nuovo governo. C’è un parallelismo tra questo febbraio 2013 e i momenti più convulsi della crisi di sfiducia che dalla primavera all’autunno del 2011 portò l’Italia sull’orlo del baratro: nei due frangenti, Obama ha cercato una sponda in Napolitano. Nel novembre 2011 il presidente Usa si negava a Silvio Berlusconi al G20 di Cannes, mentre il suo interlocutore era il Quirinale. Oggi, che l’Italia “non torni indietro”, ha un significato preciso: che non torni ad essere una mina vagante nell’eurozona, un anello debole, capace di riscatenare una crisi di fiducia dei mercati, con conseguenze anche sulla ripresa americana. È l’Italia che Obama ricorda alla deriva fino al G20 di Cannes, il passato che non deve ritornare. L’America torna a investire capitale politico verso l’Unione europea, lo ha dimostrato il discorso sullo Stato dell’Unione: la proposta di un grande patto di liberalizzazione degli scambi tra le due sponde dell’Atlantico è un salvagente lanciato al Vecchio Continente per aiutarlo a uscire dalla recessione: è anche la riscoperta di un’affinità forte tra le due grandi aree economiche dell’Occidente, una comunanza fondata sui diritti, per ridisegnare le regole della globalizzazione nei confronti della Cina. L’America ha bisogno di un’Italia che sia un elemento di stabilizzazione dell’eurozona, e questo non si concilia con un Parlamento in cui diventino troppo forti gli elementi “populisti e anti-europei”, definizione che ormai abbraccia il Pdl, la Lega, il Movimento 5 stelle. Lo aveva detto a New York, precedendo di 48 ore l’arrivo di Napolitano, l’ambasciatore Thorne: commentando la previsione di una maggioranza di centro-sinistra, l’ambasciatore ha auspicato che sia netta, in grado di esprimere un governo stabile e forte. Su Monti, la portavoce della Casa Bianca ha poi ribadito l’apprezzamento per il lavoro svolto nei 13 mesi di governo, che ha ridotto lo spread e riportato l’Italia nell’alveo europeo. Sui contenuti della futura strategia di governo la preferenza va alla sinistra- centro: meno austerity e più crescita dell’occupazione, è l’altro segnale del summit Obama-Napolitano. «Mario Draghi è stato bravo — ha detto Obama — ma non bastano le banche centrali». Il messaggio è chiaro: tocca alle politiche di bilancio uscire dalla morsa del rigore e diventare motori di crescita. Lo ha decifrato Napolitano rievocando quel passaggio del discorso sullo Stato dell’Unione pronunciato da Obama martedì: «Ogni sera prima di andare a letto dobbiamo chiederci: cos’abbiamo fatto noi oggi per creare nuovi posti di lavoro, e perchè siano lavori remunerati dignitosamente?».
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