I voti e le incognite che fanno saltare i conti Il rischio ingovernabilità
Il rischio è che il prossimo Parlamento sia ingovernabile. La certezza è che il prossimo sarà un Parlamento spettinato, come un ateneo occupato da professori e studenti, divisi tra quanti dovranno quotidianamente far quadrare i conti per garantire la fiducia a un governo, e quanti invece resteranno in agitazione permanente effettiva.
Nel Palazzo la convivenza si preannuncia complicata, non solo perché i sondaggi testimoniano come sia difficile comporre una maggioranza. Al momento, l’unica soluzione possibile appare l’alleanza tra Pier Luigi Bersani e Mario Monti, e al Foglio il capogruppo del Pd Dario Franceschini ha anticipato le «condizioni politiche e numeriche» che porteranno all’intesa dopo il voto. Ma se alcuni rilevamenti demoscopici si rivelassero esatti nelle urne, nemmeno con l’accordo tra il centrosinistra e il Professore ci sarebbero i numeri al Senato. Enrico Letta, toccando ferro, spiega come sia «matematicamente improbabile restare sotto i 158 seggi»: «Vorrebbe dire che il Pd perde in almeno sei regioni o che Monti non arriva al 10%».
Ecco il punto: finché la sfida elettorale si è concentrata nel duello tra Bersani e il Cavaliere, non c’erano (quasi) dubbi. Ma ora l’avanzata dei 5 Stelle ha fatto saltare i conti: il movimento — che fino a due settimane fa stava scivolando sotto il 10% — con lo «scandalo Mps» si è rilanciato. Così l’esito elettorale diventa un’equazione senza soluzione, dato che non è possibile calcolare la variabile grillina. C’è un timore diffuso e percepibile tra i partiti, e cioè che il «vaffa-voto» possa alterare gli equilibri e complicare la soluzione del puzzle di potere: dalla composizione del nuovo governo alla successione di Napolitano.
Finora nessun leader politico, né Silvio Berlusconi né Bersani e tantomeno Monti, ha avuto rapporti con gli esponenti di M5S. Solo Romano Prodi avrebbe riservatamente stabilito un contatto con i grillini, attraverso il suo ex consigliere economico a Palazzo Chigi, Angelo Rovati. È una voce che ha destato molta curiosità e sollevato qualche domanda ai vertici dei partiti, dato che il fondatore dell’Ulivo è uno dei più accreditati nella corsa al Colle. Resta comunque da capire quale sarà , nella prima fase della legislatura, l’atteggiamento di quel centinaio di parlamentari che di sicuro spettinerà la vita delle Camere, chiedendo conto dei dossier legislativi come dei benefit compensativi per deputati e senatori.
E l’incognita si proietta soprattutto sulla fase successiva. Per usare le parole di Marco Follini, «i grillini sono gli interpreti dell’umore profondo del Paese. Ma quando il voto avrà prodotto un ceto politico, quanti terranno fede alla disciplina di gruppo?». Non è un quesito da poco, visti i numeri che si prospettano in Parlamento. E non è un caso se Berlusconi attacca i 5 Stelle, prevedendo che «saranno risucchiati dai partiti». È la denuncia di quella che Daniela Santanchè definisce «una democrazia al buio»: «Forse M5S prenderà anche voti a destra, ma quanti sono stati candidati sono tutti di sinistra. Al confronto i parlamentari del Pd sembreranno democristiani».
Sarà così o queste considerazioni sono solo un modo per esorcizzare l’ansia di un avversario oggi inafferrabile? Perché l’obiettivo di Beppe Grillo, il suo sogno, è diventare il capo unico dell’opposizione, costringendo con la forza dei numeri i tre schieramenti a una riedizione dell’Abc: a un governissimo. Un’eventualità improbabile, così com’è difficile che ottenga di tornare presto al voto, perché gli organismi politici hanno una naturale tendenza all’autodeterminazione e i partiti sanno che nuove, immediate elezioni li esporrebbero alla furia del Paese. Se Grillo non dovesse raggiungere quei due obiettivi, avrebbe pronto l’antidoto contro il virus della transumanza: applicherebbe il metodo che fu dei Radicali, cambiando a metà legislatura i parlamentari, per sfuggire così alle tentazioni del potere.
Stretti tra il rischio dell’ingovernabilità e la certezza della confusione, nell’ateneo parlamentare i professori dovranno anche gestire l’iniziale disorientamento di quegli studenti che per la prima volta affronteranno le Aule e le Commissioni. E siccome saranno la maggioranza, il problema della alfabetizzazione politica andrà affrontato subito, visti i passaggi che attendono deputati e senatori. Perciò Bersani ha annunciato che, all’indomani del voto, il Pd terrà «due weekend di formazione» per i propri neoeletti: i due terzi dei gruppi di Camera e Senato. È tutto da verificare se — come ha detto Monti — «solo la società civile può varare quelle riforme che i vecchi partiti non riuscirebbero a fare». Di certo, come gli ha risposto Pier Ferdinando Casini, «quando la società civile entra in Parlamento diventa classe politica». «E nessuno — sottolinea Bersani — nasce imparato». Nessuno, in quell’ateneo occupato, potrà farsi trovare impreparato.
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