I Comuni e le spese, la scure degli «standard antisprechi»

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ROMA — Oscurati dalla spending review del governo Monti e quasi dimenticati, riemergono i fabbisogni standard del federalismo, e con i nuovi parametri sui quali calcolare il riparto delle risorse, molti sindaci e presidenti di provincia ricominciano a tremare.
Come si era già  visto per i costi della polizia locale gestita dai Comuni, e per i servizi alle imprese svolti dalle province, i fabbisogni standard per l’amministrazione generale appena calcolati dalla Commissione sul federalismo fiscale, presieduta da Luca Antonini, mostrano discrepanze clamorose. E molti sindaci dovranno presto fare economie importanti, oppure imporre nuovi sacrifici ai propri cittadini, per poter rientrare nei nuovi limiti di spesa.
A Napoli, per esempio, con il riparto delle risorse basato sulla spesa storica, l’amministrazione generale del comune (quindi il personale, i servizi tecnici, l’anagrafe, il servizio elettorale, la gestione delle entrate fiscali) assorbe lo 0,39 per mille del volume complessivo delle risorse assegnate ai comuni per svolgere quel servizio. Ma sulla base dei fabbisogni standard, calcolando cioè il costo ottimale del servizio, e non gli sprechi e le inefficienze incrostati nella spesa storica, dovrebbe ricevere appena lo 0,25 per mille. Quasi un terzo di meno di quanto riceve oggi.
Torino, invece, potrà  spendere quasi il doppio nei prossimi anni: in base alla spesa storica il comune guidato da Piero Fassino riceveva (dati di fine 2009) lo 0,11 per mille del totale, mentre con i nuovi criteri potrà  contare sullo 0,25% delle risorse, esattamente come il capoluogo campano.
Un bel taglio della spesa, per rientrare nei nuovi canoni, sarà  necessario anche al Comune di Roma, che oggi assorbe per le funzioni di amministrazione lo 0,101% del totale, e dovrà  scendere allo 0,93 per mille, così come a Firenze e a Bologna. A Bari la spesa potrebbe addirittura raddoppiare (dallo 0,004 allo 0,008%), mentre a Milano, che ha una spesa storica più bassa rispetto al costo standard potrà  crescere leggermente. A Siena, invece, dovrà  di fatto essere dimezzata rispetto al livello attuale.
E non è che si stia parlando di operazioni virtuali. Nel giro di un paio d’anni tutta la spesa per le funzioni fondamentali dei comuni sarà  parametrata ai costi standard definiti per ogni singolo municipio.
Dopo la polizia locale (il decreto è già  in vigore) e l’amministrazione generale, quest’anno si passerà  all’istruzione, poi alla viabilità , ai trasporti, alla gestione del territorio, all’ambiente. E dal 2015 sindaci e presidenti di provincia riceveranno per il finanziamento delle funzioni fondamentali delle loro amministrazioni solo quanto definito in base al costo standard. Gli amministratori locali, in buona sostanza, hanno ancora tre anni di tempo per portare il costo dei servizi al livello “ottimale”. Dopodiché, gli eventuali maggiori costi dovranno essere compensati con tagli su altre voci di spesa, o da nuove tasse locali imposte ai contribuenti.
Il tutto, per giunta, dovrà  avvenire in modo assolutamente trasparente, perché i costi standard calcolati dalla Sose per ciascun municipio dovranno essere pubblicati, insieme al valore della spesa storica, sul sito internet del Comune. Perché i cittadini possano misurare a prima vista l’efficienza dei servizi offerti, che, come abbiamo visto anche per l’amministrazione generale, è molto diversa da Comune a Comune.
Un discorso che naturalmente vale anche per la gestione delle entrate fiscali, ricompresa nei costi generali considerati da quest’ultimo studio della Commissione, e che in prospettiva diventa ancora più importante, visto che da quest’anno il servizio di riscossione dei tributi, svolto finora da Equitalia, tornerà  ai sindaci. Molti dei quali, letteralmente, “dormono” sulle cartelle esattoriali comunali, mentre altri si affannano alla ricerca degli evasori. La capacità  di riscossione dei Comuni, pari a 71,4% nella media nazionale, sale fino all’86,4% tra i Comuni del Veneto, ma crolla al 40% medio in quelli della Campania. Dove, a parità  di tasse dovute, si riscuote la metà  delle imposte rispetto al Veneto.


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