by Sergio Segio | 20 Febbraio 2013 7:31
C’è un gruppo di persone che in questi giorni si muoverà con discrezione fra Milano e Roma rappresentando, ai dati di dicembre, 3.792 miliardi di dollari. Dieci volte più, circa, del valore dell’intera Borsa italiana. Se poi si includono le somme per le quali quegli emissari si limitano a offrire la loro consulenza, fanno 17 mila miliardi di dollari. Dieci volte più del prodotto interno lordo italiano, o quasi.
Sono gli investitori di Blackrock e Larry Fink; chi li guida viene considerato fra gli uomini più influenti del sistema finanziario globale, al punto che nei mesi dopo il crac di Lehman veniva consultato di continuo dall’amministrazione Usa. Il vice presidente di Blackrock, Philipp Hildebrand, ha invece guidato la banca centrale svizzera fino a che un investimento irregolare della moglie (per 60 mila euro) l’ha obbligato a lasciare in pieno scandalo.
Gli emissari di Fink e Hildebrand da domani in Italia compiranno un’ultima missione prima del voto di domenica e lunedì: consulteranno i sondaggisti per avere e interpretare i dati che altrimenti sarebbe proibito diffondere. Perché, si sa, i rilevamenti sono sotto coprifuoco se qualcuno decidesse di renderli noti agli elettori; ma non se qualcuno li va a consultare e farseli spiegare in privato, magari a pagamento, alla fonte.
La scelta di Blackrock a ben vedere non ha niente di sorprendente. Con le elezioni tedesche dell’autunno, e più di quelle, il voto in Italia resta per i mercati l’appuntamento politico più importante dell’anno. È un passaggio in grado di spostare centinaia di miliardi di euro in una o un’altra direzione, a seconda di quale sarà il suo esito e la capacità degli investitori di leggere nella nebbia delle proiezioni di Montecitorio e soprattutto di Palazzo Madama.
Ne ha avuto la riprova un paio di settimane fa Vittorio Grilli. È successo quando il ministro dell’Economia, senza troppi annunci, ha affrontato un breve viaggio fra le principali capitali finanziarie dell’Asia per spiegare le prospettive dell’Italia e sondare gli umori in proposito. Grilli ha visto i grandi fondi sovrani e gli uomini che gestiscono riserve valutarie da migliaia di miliardi nelle banche centrali. Quasi ovunque, persino in una grande democrazia come il Giappone, Grilli ha avuto la stessa impressione: non esistono pregiudizi in Asia nei confronti dei titoli del Tesoro italiano, ma c’è reale difficoltà a capire le dinamiche e i possibili sbocchi delle elezioni. Blackrock può sempre paracadutare i suoi sul terreno a leggere le foglie di tè dei sondaggisti. Ma per la banca centrale cinese, o per il fondo sovrano di Singapore, una capacità di analisi del genere resta impensabile.
Sono queste le realtà che si riflettono nelle aste del Tesoro di questo periodo. Quando la settimana scorsa è andato sul mercato il nuovo Btp in scadenza nel 2015, è emerso che il 60% della domanda veniva dall’estero e il 10% era concentrato nelle banche centrali o nei fondi sovrani asiatici (agli «hedge fund» hanno contribuito per un altro 8%). Una scadenza di rimborsi nel 2015 del resto è potenzialmente coperta dalla Banca centrale europea: qualora la situazione si avvicinasse al punto di rottura, il mercato sa che l’Italia potrebbe sempre rivolgersi alla Banca centrale europea perché compri titoli di Stato. La Bce può farlo per scadenze fino ai tre anni e lì rischio di insolvenza, anche parziale, nella percezione del mercato si è dissolto.
Ma per le aste più a lungo termine è un’altra storia. Le banche d’affari che collaborano con il Tesoro nei collocamenti vedono ogni volta che le banche centrali asiatiche sono quasi del tutto assenti sui bond a otto, dieci o 15 anni. Da questa parte delle elezioni, e probabilmente anche una volta passata la boa del voto, molti investitori esteri hanno deciso di restare alla finestra per un po’. Proprio questa settimana, Royal Bank of Scotland ha organizzato a Londra un incontro sul caso Italia con molti dei principali investitori degli «hedge fund», delle più grandi banche internazionali e dei fondi d’investimento americani e britannici. Per un giorno, l’Italia è stata al centro dell’attenzione degli analisti della City. In quella sala a Rbs, tutti negli smartphone o nei tablet avevano sotto gli occhi i titoli sugli arresti dell’amministratore delegato di Finmeccanica per tangenti, sull’incertezza elettorale, sul crollo dello 0,9% del Pil italiano a fine 2012 o sullo scandalo del Monte dei Paschi.
Eppure, almeno per ora, lo spread non torna a esplodere. Chi ha comprato in autunno adesso rallenta gli acquisti di bond sulle scadenze lunghe, ma non vende. «Negli ultimi giorni gli investitori sembrano non valutare del tutto il rischio che dal voto esca un Parlamento diviso o contrario alle riforme» osserva Alberto Gallo, capo della ricerca sull’Europa a Rbs.
Chi fa il giro dei sondaggisti alla vigilia del voto, come Blackrock, ha tutta l’aria di preparare tattiche da fine settimana: prendere posizioni venerdì, rialziste o al ribasso, in base agli ultimi rilevamenti. Ma molti hanno meno fretta. Più delle percentuali uscite dalle urne, per loro contano altri fattori: l’agenda del nuovo governo per aumentare la capacità di crescita dell’Italia, la reale volontà dei partiti di lavorare insieme, un esecutivo che prometta di durare a lungo. Per questo a Londra o a New York, a Tokyo o a Shanghai, c’è chi resterà alla finestra per settimane dopo le elezioni. Magari aspettando un nuovo aumento degli spread e dei rendimenti. Perché si sa: quando le cose peggiorano e la politica in Italia finalmente si scuote dal torpore, quello è il momento di comprare. Non un istante prima.
Federico Fubini
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2013/02/i-calcoli-dei-mercati-sul-rischio-italia/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.