I buoni affari prima di tutto

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GERUSALEMME. Un mese fa, dopo l’attacco aereo israeliano in Siria, il premier islamista turco Recep Tayyip Erdogan inveiva contro il «terrorismo di Stato di Israele». «Chi tratta Israele come un bambino viziato deve aspettarsi da parte sua qualunque cosa», sbraitava puntando l’indice contro Tel Aviv. Da parte sua il ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, il «falco» della diplomazia turca, si scagliava contro il presidente siriano Bashar Assad per non avere «gettato neanche un sasso» contro Israele per ritorsione. Eppure mentre pronunciavano queste parole di fuoco, Erdogan e Davutoglu, “feriti” dal raid israeliano del 2010 contro il traghetto turco Mavi Marmara diretto a Gaza (nove morti), trattavano proprio con Israele. Gli affari prima di tutto. La stampa turca qualche giorno fa ha annunciato la firma da parte del governo Erdogan di un accordo che prevede l’acquisto di sistemi elettronici israeliani per l’aviazione turca del valore di oltre cento milioni di dollari. E dietro le quinte i due Paesi stanno riprendendo anche i rapporti diplomatici, nonostante la Turchia reclami ancora le scuse ufficiali di Israele per i morti del Mavi Marmara.
Firmato nel 2002, l’accordo militare in questione prevede la vendita di componenti per il completamento su quattro Boeing 737 del sistema Awacs, in modo da trasformarli in radar volanti. Israele l’aveva congelato dopo le durissime accuse giunte da Ankara. Ma gli affari vengono prima, anche delle «condizioni irrinunciabili» poste da Erdogan e Davutoglu, che nel frattempo si sono impegnati nella guerra civile siriana a sostegno dei ribelli anti-Assad. Israele e Turchia dovrebbero inoltre dare il via ad un progetto congiunto per la costruzione di un gasdotto sottomarino che dovrà  portare in Europa 425 miliardi di metri cubi di gas israeliano del bacino “Leviatano”, passando lungo la costa meridionale turca. D’altronde, nonostante la crisi diplomatica di questi ultimi tre anni, l’interscambio commerciale nel 2011 ha toccato i due miliardi di dollari e la Turchia rimane il sesto importatore mondiale di merci israeliane.
Gli analisti prevedono che in tempi brevi Tel Aviv e Ankara troveranno un’intesa per ricomporre la frattura. L’ultimo colloquio tra rappresentanti turchi e israeliani è avvenuto tre settimane fa: al centro un compromesso onorevole per entrambe le parti sulla questione delle scuse ufficiali richieste da Erdogan. Il premier israeliano Netanyahu sino ad oggi le ha escluse. Sa che concedendole ammetterebbe di aver commesso un crimine contro una nave civile in acque internazionali. «Ci sono discussioni in corso, stiamo cercando una formula accettabile da parte turca», ha detto un ufficiale israeliano all’agenzia Media Line. Il settimanale progressista turco Radikal prevede che prima dell’arrivo di Barack Obama in Medio Oriente (tra meno di un mese) Israele formulerà  scuse ufficiali ma non per il suo blitz in acque internazionali ma per gli “errori” commessi durante l’arrembaggio. È poco ma ad Ankara potrebbe bastare. Specie se servirà  a migliorare le relazioni anche con gli Stati uniti, precipitate negli ultimi due-tre anni, che di recente hanno toccato il punto più basso quando il vicepremier turco Bekir Bozbag ha avuto parole dure per l’ambasciatore Usa Francis Ricciardone che aveva condannato con forza la giustizia turca. Convocato al ministero degli esteri turco per spiegarsi, Ricciardone è stato «ammonito» con toni decisi dal criticare di nuovo il governo islamista della Turchia.
L’analista dell’università  “Ben Gurion” di Beersheva, Dror Zeevi, spiega che «In passato parti del governo israeliano erano pronte ad accogliere la condizione posta dai turchi per la ripresa delle relazioni ma il ministro degli esteri Lieberman ha fatto naufragare tutto». La riconcilizione con Israele conviene molto ad Erdogan, determinanto fino a qualche tempo fa a svolgere il ruolo di leader islamista regionale. Poi ha perduto una buona parte della sua influenza dopo essersi schierato apertamente con i ribelli siriani. «In tale contesto va letto il riavvicinamento a Israele – spiega l’analista palestinese Nassar Ibrahim – La Turchia si è isolata, è ormai circondata da Stati antagonisti… Se Ankara vuole garantirsi l’appoggio occidentale ha bisogno di rinnovare i rapporti con Tel Aviv».


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