Gli intransigenti e i «pastorali» Tutti difendono la famiglia

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CITTà€ DEL VATICANO — Giuliano della Rovere era un uomo di mondo e un gran Papa rinascimentale, e quando pensò di rendere ancora più bella la cappella edificata dallo zio Sisto IV non si lasciò condizionare né dal rapporto burrascoso con l’artista in questione né tantomeno dal fatto che fosse notoriamente omosessuale: Giulio II chiamò Michelangelo perché, semplicemente, era il più bravo, ed è davanti ai suoi capolavori che i cardinali, nella Sistina, eleggono il Papa. Se lo si chiede a uno storico della Chiesa come Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, la riposta è netta: «La storia è piena di sfumature ed eccezioni, ma nella tradizione ecclesiale e in particolare in quella cattolica non si può parlare di omofobia, è una caricatura». Precisazioni che ricorrono, di questi tempi, in Vaticano, e mostrano una preoccupazione essenziale: non fare, assolutamente, della difesa della famiglia tradizionale e della contestazione alle «nozze gay» una questione religiosa né tantomeno confessionale. Mica per niente il quotidiano della Santa Sede ha scelto di intitolare l’ultimo intervento dell’arcivescovo Vincenzo Paglia sul tema in modo per così dire laico: «La famiglia tra Cicerone e Giorgio Gaber».
È chiaro che nella Chiesa le sensibilità  sono diverse, tra intransigenti e «pastorali». Sia nei toni sia nella possibilità  di riconoscere alle coppie gay, se non altro, la possibilità  di «contratti» legali distinti dal matrimonio. Ma l’essenziale ora è seguire la linea tracciata da Benedetto XVI: argomentare razionalmente, respingere ogni accusa di discriminazione e cercare sostegni «esterni» a difesa «della natura» e della «persona umana», contro «l’attentato all’autentica forma della famiglia». Il mese scorso il Papa ha ribadito la «profonda erroneità » della «teoria di genere» citando l’intervento del Gran Rabbino di Francia Gilles Bernheim contro il «matrimonio per tutti».
Per questo, l’altro giorno, il presidente del pontificio Consiglio della Famiglia, Vincenzo Paglia, ha chiarito che il matrimonio tra uomo e donna è una dimensione chiara del diritto» e che le leggi sulle nozze gay «portano la società  sull’orlo dell’abisso», ma insieme ha insistito «a proposito delle coppie gay» sulla «pari dignità  di tutti i figli di Dio»: e si è augurato che «si combatta» anche nella Chiesa la «discriminazione» di «quella ventina di Paesi nei quali l’omosessualità  è considerata un reato». La Chiesa, peraltro, lo aveva già  chiarito nella Lettera ai vescovi per la cura pastorale delle persone omosessuali firmata il 1° ottobre 1986 dal prefetto dell’ex Sant’Uffizio, l’allora cardinale Ratzinger: «Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente». L’imbarazzo, piuttosto, nasce quando si parla delle alternative al matrimonio. È giusto riconoscere altre forme di convivenza? Paglia ha parlato di «soluzioni nel diritto privato e in campo patrimoniale», un terreno «che la politica deve cominciare a percorrere tranquillamente». Di per sé lo aveva detto anche il cardinale Camillo Ruini il 19 settembre 2005, nel pieno della battaglia contro i Pacs: l’allora presidente della Cei indicò «la strada del diritto comune» oppure di «eventuali norme a loro tutela, qualora emergessero ulteriori esigenze».
Ma niente «modelli legislativi precostituiti», questo no: anche ieri, al settimanale Tempi, Ruini ha ripetuto che la «vera famiglia» è quella tra uomo e donna e «le persone di buon senso, credenti o non, se ne rendono conto». Ai tempi il timore della Chiesa era quello, classico, del «piano inclinato»: si comincia così e si arriva al matrimonio. Nel frattempo, però, in Europa ci si sta arrivando lo stesso. Così l’accenno alla soluzione «politica» dell’arcivescovo Paglia può essere letto anche nel senso di soluzioni già  prospettate, in questi anni, ai massimi livelli della Chiesa. Quasi un male minore. Come quando il cardinale Martini osservò: «Non è male, in luogo di rapporti omosessuali occasionali, che due persone abbiano una certa stabilità  e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli». Una riflessione tratteggiata pure da un cardinale come Christoph Schà¶nborn, arcivescovo di Vienna e allievo di Ratzinger, che tre anni fa butto lì: «In tema di omosessualità  si deve anche considerare anche la “qualità ” di una relazione…».


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