by Sergio Segio | 13 Febbraio 2013 8:02
Odio i centenari. Al fastidio per una data artificiale che non tiene conto della maturazione di un problema storiografico, si aggiunge in Italia – da almeno un ventennio – il fatto che gli unici finanziamenti che si ottengono per la cultura sono destinati a queste manifestazioni, mentre si lasciano morire le strutture permanenti di ricerca e conservazione della memoria (biblioteche, archivi, musei). Detto questo, è vero che alcuni centenari, come quello della nascita di Giuseppe Dossetti, sono particolarmente produttivi di biografie e di analisi che permettono di fare molti passi avanti nella comprensione di problemi ancora aperti nella nostra vita civile e religiosa, sebbene il frutto maggiore lo si potrà avere solo tra qualche anno, quando sarà possibile fare un bilancio più distaccato.
Nel chiasso di oggi, di fronte ad una personalità così complessa, l’interesse a rivendicare la sua eredità sembra ancora prevalere sulla memoria storica: a parte i detrattori che non riescono a trattenere il risentimento contro una personalità ritenuta dannosa per l’autorità della Curia, la tendenza diffusa è quella di semplificare Dossetti per poterne rivendicare l’eredità : il Dossetti politico, il Dossetti monaco, il fondatore di un’«officina bolognese» compatta interprete della Chiesa conciliare. Una prima avvertenza è quindi quella di porre maggiormente l’accento sulla complessità della sua affascinante personalità : è necessario cogliere in lui «l’uomo a più dimensioni» senza semplicistiche sovrapposizioni. Una seconda avvertenza è quella di mettere in luce l’elemento dinamico del suo pensiero. Coerenza certo vi è stata sempre intorno ad alcuni punti ultimi, ma questo non deve impedirci di cogliere la sua evoluzione culturale e spirituale. Bisogna evitare ogni tipo di agiografismo o confondere Dossetti con un dossettismo completamente inventato. L’eredità dossettiana è tra quelle più maltrattate in questo momento, dalla destra, ma non soltanto: l’appellativo di «dossettiano» infatti equivale più o meno a identificare colui che nella prassi ha tradito la sua naturale posizione di cattolico alleandosi con i «comunisti» e nel pensiero ha confuso il piano religioso con quello politico, portando nel campo politico la fede e la dogmaticità propria del terreno religioso. Nulla di più opposto alla realtà per uno come me che ha cominciato a seguirlo da sedicenne nella campagna elettorale anticomunista del 1948. Certo è che dopo pochi anni anche lui cambiò e cambiò anche la mia vita indirizzandola dalla passione per la politica attiva allo studio della storia, quando lo seguii presso il Centro di documentazione allora appena fondato a Bologna. Il punto centrale fu la maturazione della sua diagnosi sulla catastroficità della situazione globale, dopo la guerra, la bomba atomica e la Shoah, sulla crisi della politica, non solo in Italia ma nel mondo: una crisi anche antropologica e religiosa.
Non potendo sviluppare questi accenni lungo tutti i successivi decenni, prendo soltanto come esempio il suo discorso nel consiglio comunale di Bologna del 3 novembre 1956 sulla rivolta di Budapest e sulla crisi di Suez: forse il punto più drammatico sul crinale di una vocazione monastica ormai chiara e di un’avventura politica accettata per ubbidienza al card Lercaro. In quella riunione bruciante, Giuseppe Dossetti (consigliere di minoranza) parlò dei fatti di Ungheria partendo da una denuncia senza ambiguità : un popolo intero insorto contro i carri armati di una potenza straniera occupante. Ma il suo discorso non si ferma qui e identifica nei fatti di Ungheria un rovesciamento totale della direzione della storia anche per quanto riguarda la civiltà occidentale nel suo complesso, della quale fa parte la stessa cultura marxista: «Ecco per me questa cultura è essenzialmente unitaria, ecco perché per me la crisi non è crisi parziale ma è crisi totale».
Dossetti continua quindi parlando della contemporanea crisi del canale di Suez e conclude: «Non è questo dell’Ungheria un evento di cui ci si debba affrettare a fare lo sfruttamento o coi manifesti o coi comizi politici, perché è un evento che noi ci ritroveremo di fronte fra un anno, fra dieci anni, fra cinquanta anni. E si dirà di questi giorni: allora è cominciato agli occhi della coscienza europea veramente il tramonto del sistema comunista». Questi 50 anni sono davvero passati e la diagnosi rimane valida. Un altro esempio che sottolinea lo sviluppo del suo pensiero è costituito dal problema del rapporto Stato-Chiesa. Gli studi hanno illustrato l’apporto dato da Dossetti costituente, in diplomatico contatto con il Vaticano e con il Pci, per l’elaborazione dell’art. 7 della Costituzione con il richiamo in essa dei Patti Lateranensi, per scongiurare il pericolo di una guerra civile e per evitare il pericolo dei nuovi fondamentalismi: sul piano dottrinale la sua tesi era quella tradizionale, della Chiesa e dello Stato come uniche società «perfette» dotate di ordinamenti originari.
Nel corso della sua vita monastica le tesi muterà abbandonano la forma giuridica per porsi su ben altro piano. Come scriveva nell’introduzione al volume di Luciano Gherardi Le querce di Monte Sole (dedicato alla strage di Marzabotto), la sapienza della prassi «non sta tanto in un enuclearsi progressivo di una cultura omogenea alla fede…ma soprattutto nell’acquisizione di abiti virtuosi». Solo esaltando il nucleo essenziale della fede il cristiano può essere libero nella sua azione politica che rimane purificata da ogni idolo-ideologia sempre inquinante: lo spazio politico è tanto più libero in quanto il regno a cui si richiama non è di questo mondo. Negli ultimi anni, nel suo impegno per la difesa della Costituzione, il recupero della dimensione storica e giuridica si traduce nel ripudio della teoria della Chiesa come «società perfetta». Spiega nel 1994 parlando ai sacerdoti della diocesi di Concordia-Pordenone: «Non perché questa dottrina, nei termini in cui veniva allora sviluppata dal pensiero canonico tradizionale, sia in sé errata, ma perché non è certo che colga il proprio della Chiesa. E adesso dico di più: fuorvia dal proprio della Chiesa. Può significare una certa rappresentazione della Chiesa, ma non esprime il volto essenziale della Chiesa, come non esprime nessun volto la radiografia del nostro sistema osseo: è uno scheletro; lo scheletro ci vuole, ma è lo scheletro, non è la carne, i lineamenti, il volto, soprattutto l’anima».
L’ultima immagine che Dossetti ci trasmette è quella di aderente entusiasta al modello del Patriottismo della costituzione. Ma qui ci troviamo di fronte ad un’altra pericolosa deformazione del suo pensiero: ricordo soltanto il suo monito a affrontare le riforme istituzionali alla luce di un profondo rinnovamento etico; questo ci aiuta a comprendere perché sia stata lasciato in ombra il suo richiamo ad una Costituzione non soltanto in gran parte inapplicata, ma anche deformata nella prassi politica da partiti cristiani e laici.
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