Giannino in lacrime «Se serve mi ritiro Decide la direzione»
ROMA — Oscar Giannino ha in tasca un diploma di scuola superiore e nulla più. Non ha conseguito alcun master alla Chicago Booth School of Business, non è laureato in Economia e nemmeno in Giurisprudenza, corso di studi di cui avrebbe sostenuto solo «alcuni esami» a Torino. Il leader di Fermare il declino, brillante autodidatta, ha ammesso la «bugia». Le sue credenziali accademiche sono false, la sua biografia che rimbalza sul web sarebbe opera di «uno stagista che l’ha presa da Wikipedia». Il problema è che sul web è spuntato un altro video, del primo dicembre 2012, in cui Giannino si vanta di un «master a Chicago in Corporate and public finance».
E così, al giornalista che fondò il partito della meritocrazia e della trasparenza non resta che chiedere scusa: «Ho commesso un gravissimo errore. È stato un clamoroso autogol, che crea un vantaggio a Berlusconi e a Bersani. Chiedo scusa a tutti… Sono disposto a sparire nel nulla».
A sera, dal tg di Enrico Mentana, Giannino conferma che oggi si presenterà «com’è ovvio» dimissionario davanti alla direzione del partito, che metterà ai voti il suo futuro politico: «Se eletto sono pronto a rinunciare al seggio. Viva la trasparenza». Per il commentatore che volle farsi professore è stato il giorno del mea culpa, dell’amarezza e delle lacrime. Al termine della conferenza stampa nella sede di Fare, Giannino ha gli occhi lucidi al pensiero della moglie Margherita, «gioiosamente sposata» sedici mesi fa con una cerimonia buffa che fece notizia. Abito di velluto a righe, panciotto giallo oro e cravatta arancione, il leader disarcionato riceve un cronista via l’altro: «Avevo messo in conto che se mi fossi candidato mi avrebbero fatto barba e capelli, ma ho preso uno schiaffo che lascerà il segno. Non mi aspettavo che la sberla sarebbe arrivata dall’interno del partito». I suoi parlano di un complotto del Pdl, ma lui ci va cauto: «Non sospetto nulla. Su Berlusconi non faccio illazioni manco morto e del complotto non dico niente perché non ho le prove. L’autogol è il mio, quel che sorprende che a fischiarlo sia stato uno dei fondatori, Luigi Zingales». L’economista le ha chiesto «in ginocchio» di dire la verità ai dirigenti e agli italiani, perché lei non lo ha fatto? «Zingales mi ha cercato venerdì dall’Illinois, sabato ho provato a chiamarlo e domenica da Matera ho spiegato l’incidente, ma a lui non è bastato». Zingales ha parlato di tradimento. E lei, si sente tradito? «In politica non ci sono i tradimenti, ci sono le opinioni — risponde Giannino —. Quelle espresse da Zingales nella sua lettera sono molto americane, ma le conseguenze saranno italianissime».
Oggi il candidato premier darà le dimissioni davanti alla direzione del suo partito, convocata in un hotel vicino alla stazione Termini. Il parlamentino non si è mai riunito, nessuno sa con esattezza quanti siano i suoi membri. «Oscar ha commesso un peccato veniale, superato dalle scuse e dall’impegno e se chiederà un sì unanime alla sua riconferma — prevede il notaio Angelo Busani, uno dei promotori di Fare — di certo lo otterrà ». Ma l’aria che tira non è quella di una assoluzione piena. Che il partito sia «spaccato» tra condanna e perdono lo dice lo stesso Giannino e Riccardo Gallo, altro fondatore di Fare, ammette di «far fatica ad assolvere Oscar» per aver gettato il movimento in un mare di guai. «La direzione non finirà a tarallucci e vino, non siamo disposti a passarci sopra in modo superficiale — rivela Gallo — Però vogliamo che il partito vada avanti perché è l’ultima spiaggia, una specie di primavera di Praga. Un fiume in piena che Zingales ha provato a stoppare». Il professore, che insegna a Chicago, dopo aver smascherato il falso master di Giannino ha lasciato il partito e non sembra intenzionato a tornare indietro: «È una vicenda triste e io non voglio speculare. Quello che dovevo dire, l’ho detto».
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