Fuoco sulla residenza di Assad E i russi preparano l’evacuazione

by Sergio Segio | 20 Febbraio 2013 8:08

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GERUSALEMME — Il palazzo porta il nome della guerra combattuta quarant’anni fa contro gli israeliani e i segni di quella che da ventitré mesi sta devastando la Siria. Qui Bashar Assad ospitava i notabili internazionali che non gli fanno più visita. Adesso le sale sono il bersaglio dei colpi di mortaio sparati dai ribelli che assediano Damasco. Perfino il regime ammette che ieri un paio di proiettili hanno centrato il muro di cinta della Residenza d’Ottobre e i russi — che ormai pensano all’autunno del presidente alleato — mandano altre quattro navi nel Mediterraneo per preparare l’evacuazione dei loro cittadini.
Segni che la caduta di Bashar non è più esclusa da Mosca. Due aerei da trasporto Ilyushin sono atterrati a Latakia per portare 41 tonnellate di aiuti e portar via 154 persone, soprattutto donne e bambini. Neppure la città  sulla costa che fa da rifugio agli alauiti, la minoranza che dagli anni Settanta domina il Paese attraverso il clan degli Assad, è considerata più sicura. Al consolato di Damasco sono registrati 8 mila russi, almeno 25 mila donne hanno sposato siriani. Mosca spera ancora di poter trovare una soluzione diplomatica che permetta ad Assad di trovare una via d’uscita. Alla fine del mese Walid Muallem, ministro degli Esteri, andrà  in Russia per discutere i termini dei negoziati non diretti con Ahmed Al-Khatib, il capo dell’opposizione.
Anche se le forze del regime si sono concentrate sulle grandi città , i ribelli sono riusciti a colpire uno dei simboli del potere nel centro della capitale. Damasco sembra restare sotto il controllo delle truppe fedeli ad Assad, mentre Aleppo, la metropoli commerciale verso il nord e il confine con la Turchia, è divisa in due dagli scontri. Ieri — denuncia l’Osservatorio siriano per i diritti umani basato a Londra — un missile Scud sparato dall’esercito regolare avrebbe colpito il quartiere di Jabal Badro e avrebbe ucciso 31 persone, tra loro 14 bambini. «E’ una zona di case povere e malandate, un solo razzo è bastato per distruggere tutto». I morti della rivolta cominciata il 15 marzo del 2011 sono quasi settantamila, stimano le Nazioni Unite
I miliziani non sembrano in grado per ora di sconfiggere i soldati governativi. La situazione di stallo potrebbe cambiare se — come scrive il New York Times — il presidente americano Barack Obama rivedrà  la sua decisione di non fornire armi ai ribelli.
La famiglia al potere è sempre più isolata, vede complotti ovunque, fino a progettare omicidi eccellenti. Il generale Jamil Hassan, capo dell’intelligence dell’aviazione, avrebbe suggerito — scrive un sito saudita e la notizia è riportata da Times of Israel — di ammazzare monsignor Mario Zenari, nunzio del Vaticano a Damasco, per incolpare i rivoltosi dell’assassinio. L’arcivescovo pochi giorni fa ha criticato «il silenzio della comunità  internazionale»: «Stiamo camminando sul sangue delle vittime».

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