Fiat, stipendio ma niente lavoro “schiaffo” ai 19 operai della Fiom
TORINO — I 19 operai della Fiom, licenziati e reintegrati dalla Corte d’appello di Roma allo stabilimento Fabbrica Italia di Pomigliano, hanno lo stipendio garantito, ma non il lavoro. Questo ha deciso il Lingotto spiegando che, al momento, non ci sono postazioni per i diciannove. I metalmeccanici della Cgil stanno valutando una diffida e un esposto in procura. Mentre il leader Fiom Maurizio Landini chiede l’intervento del governo e parla di schiaffo alla dignità dei lavoratori.
Pagati, come impone il Tribunale, ma lasciati a casa, come vuole la Fiat perché non ritiene utile avere in fabbrica i 19 iscritti alla Fiom. «Non c’è posto per loro e non possiamo farci imporre la composizione degli organici dalle sentenze», ha sostenuto nei giorni scorsi il Lingotto. Da qui la scelta di lasciare a casa i suoi dipendenti non graditi, come peraltro avviene da tempo a Melfi dove, nonostante l’ordine di reintegro di tre iscritti alla Fiom ingiustamente licenziati, la Fiat continua a mantenerli fuori dalla fabbrica pur pagandoli regolarmente. Una pratica umiliante che ieri è tornata a far salire la tensione tra il Lingotto e il sindacato di Landini. Con i 18 iscritti di Pomigliano (il diciannovesimo è in aspettativa perché candidato alle elezioni) il numero dei dipendenti lasciati a casa, pagati senza lavorare, è salito a venti (anche uno dei tre licenziati di Melfi è in aspettativa elettorale).
I 19 di Pomigliano si sono presentati ieri mattina in fabbrica per quello che avrebbe dovuto essere il loro primo giorno di lavoro dopo un lungo corso di formazione iniziato il 28 novembre scorso. Il ritorno in azienda era stato deciso dalla corte d’Appello di Roma che ha condannato la Fiat per aver discriminato gli iscritti alla Fiom tenendoli sistematicamente fuori dalle linee che producono la Panda e lasciandoli nel limbo della cassa integrazione. Oltre ai 19 la sentenza impone alla Fiat di far tornare al lavoro altri 126 iscritti alla Cgil per un totale di 145. A novembre l’azienda aveva minacciato di licenziare altri 19 operai di Pomigliano «perché non possiamo assumere altre persone anche a causa della crisi di mercato». Dunque ieri mattina «per coerenza», come dicono a Torino, ai 19 della Fiom è stato spiegato che per loro non c’è spazio in fabbrica e che quindi torneranno a casa, pagati, fino a nuova comunicazione dell’azienda. I 19 hanno resistito per qualche ora in fabbrica chiedendo una spiegazione scritta ai vertici dell’azienda. Poi si sono allontanati dallo stabilimento. In una conferenza stampa convocata immediatamente a Roma, il leader della Fiom, Maurizio Landini, ha parlato di «schiaffo alla dignità del Paese: quella che si vive a Pomigliano è una situazione non più tollerabile».
Non si indignano invece Fim e Uilm. Il segretario dei metalmeccanici della Cisl, Giuseppe Farina, promette che «giovedì il caso si sgonfierà » nel corso dell’incontro tra i sindacati del «sì» e la Fiat e che a quel punto «verrà meno qualsiasi ipotesi discriminatoria ». Farina allude alla decisione dell’azienda di far tornare tutti i dipendenti alle dipendenze di Fiat Group Automobiles dal prossimo primo marzo. E’ presumibile infatti che da quel momento anche i 19 iscritti alla Fiom torneranno in cassa integrazione insieme agli altri 1.400 dipendenti dello stabilimento ancora senza lavoro. In teoria la cassa integrazione dovrebbe essere a rotazione ma i legali della Fiom paventano che per gli iscritti alla Cgil non sarà così: «Ci sono criteri molto particolari per la cassa – dice l’avvocato Elena Poli – e nella scelta di coloro che dovranno lavorare sarà privilegiato chi ha già lavorato alla produzione della Panda». Dunque non coloro che hanno in tasca la tessera della Cgil.
Il nuovo scontro ha provocato l’indignazione delle forze politiche di centrosinistra. Il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, ha parlato di «scelta grave e preoccupante», mentre l’ex responsabile auto della Fiom, Giorgio Airaudo, oggi candidato in Sel, definisce quella del Lingotto «una linea medievale dettata dal delirio di onnipotenza dell’amministratore delegato». Antonio Di Piero parla di «decisione umiliante» e il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, definisce quella della Fiat «una logica squadrista ». Il ministro del lavoro, Elsa Fornero, allarga le braccia: «Il governo non ha margini di intervento. Mi rammarico perché dalla contrapposizione non nascono mai cose positive».
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