Ennahda in piazza, ma è un flop
TUNISI. I manifestanti accusano i servizi segreti francesi dell’omicidio: «Qui non è il Mali» Dopo i funerali di Chokri Belaid, il simbolo dell’opposizione laica e leader del Partito dei Democratici Uniti freddato sull’uscio di casa, la repressione ha funzionato e così a Tunisi è tornata un’apparente calma. La notte è trascorsa silenziosa, perché le strade erano deserte e la gente terrorizzata. Per avere un termometro della situazione pertanto bisogna tenere d’occhi la rete. Per ore sono scorse le immagini della massa oceanica che ha partecipato ai funerali, e con essa della moglie e della figlia di Belaid che accompagnavano la salma. Il fiume di persone non si arresta, anche se si muove solamente in rete. Ieri invece è stato il giorno di Ennahda.
Si sono contati tremila manifestanti o poco più sull’Avenue Bourghiba, considerato anche qualche pullman convogliato da altre città del paese. Qualche bandiera nera, simbolo del movimento salafita, sventola tra le bandiere bianche col simbolo della colomba del partito Ennahda. Il grido e gli slogan dei militanti e simpatizzanti del partito islamista erano in maggior parte rivolti contro la Francia: «France dégage» è il nuovo urlo della piazza tunisina, sebbene oggi siano i tunisini musulmani del partito al governo ad abitarla. Il capo del governo Hamadi Jebali, in una conferenza stampa tenutasi venerdì sera dopo i funerali, ha parlato del suo incontro con l’ambasciatore francese in Tunisia, Franà§ois Gouyette, a cui ha riportato la preoccupazione del governo tunisino per le dichiarazioni del ministro degli interni francese Manuel Valls a proposito della situazione in Tunisia. Quest’ultimo, infatti, nel condannare l’omicidio di Belaid, ha esposto il suo timore per il «fascismo islamista» in aumento dappertutto. Secondo il capo del governo tunisino tali ed altre dichiarazioni sarebbero considerate come una forma d’intromissione negli affari interni del paese.
Sebbene Hamadi Jebali abbia apprezzato l’interesse del presidente francese Franà§ois Hollande, sembra essersi stizzito all’intervento del ministro degli interni, che getta altra benzina sul fuoco delle tensioni. Ieri, infatti, protetti dalla polizia e dall’esercito, a due passi dall’Ambasciata di Francia, che si trova per l’appunto nell’Avenue principale, le poche migliaia di manifestanti gridavano: «Attenzione Francia, la Tunisia non è il Mali» e «Francia, lascia libero il nostro paese», tutto accompagnato dall’ormai storico slogan delle rivoluzioni arabe «El-sha’ab yurid isqat al-nizam» («il popolo vuole la caduta del regime») trasformato oggi in «il popolo vuole di nuovo Ennahda».
La gente aveva bisogno di parlare e difendersi dalle accuse: «Noi siamo i musulmani moderati, vogliamo la pace e siamo contro questo omicidio, il nostro partito non aveva interesse a farlo fuori, sono stati i servizi segreti francesi». Ma di fronte a questi spontanei tentativi di dialogo e spiegazioni, tra i manifestanti della folla vi è anche il cartello con la foto del poliziotto ucciso durante gli scontri coi manifestanti mercoledì sei febbraio, ma nessuna foto che ricorda il martire della rivoluzione. La manifestazione non è stata autorizzata ufficialmente dal ministero dell’Interno, ma a detta dei partecipanti nessun evento violento si sarebbe scatenato, come nei giorni precedenti. All’estero invece, nelle città francesi e in qualche consolato tunisino italiano, è ancora Chokri Belaidi a essere ricordato dalle comunità tunisine che abitano in Europa, ignari di quello che potrebbe ancora bruciare nel loro paese.
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