E l’assente Benedetto XVI «domina» il ricevimento per i Patti Lateranensi

by Sergio Segio | 13 Febbraio 2013 7:09

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ROMA — Il presidente Giorgio Napolitano sospira: «È un periodo di cambiamenti, uno dei quali del tutto imprevisto e di grande portata». Il segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone spiega poco più in là  che «il signor presidente avrà  modo di salutare personalmente il Santo Padre in un’udienza speciale» e privata, dopo il congedo pubblico al concerto di Zubin Mehta. Mario Monti saluta tutti cortese e riservato, ha trovato la notizia «sconvolgente», da Oltretevere fanno sapere che «si sono sentiti e si sentiranno». In un capannello il cardinale Bagnasco spiega la sua «sorpresa e tristezza», vedrà  Benedetto XVI venerdì nelle visite confermate dei vescovi liguri ma non ci saranno festeggiamenti né commiati di sorta, «credo che la Santa Sede stia pensando a qualcosa». Discosto, si vede anche il cardinale Camillo Ruini che fa notare con la consueta chiarezza: «Non è che questo caso crei un precedente, chiaro, ogni Papa è diverso dall’altro».
Benvenuti, comunque, al ricevimento per l’ottantaquattresimo anniversario della firma dei Patti Lateranensi, all’ambasciata italiana presso la Santa Sede, dove per una volta gli «ottimi rapporti bilaterali fra i due Stati» non sono la chiosa ufficiale a più corposi discorsi riservati sull’Imu, il fine vita eccetera. Quando gli chiedono di possibili sviluppi sulle elezioni c’è Pier Ferdinando Casini che scuote la testa, «non mischiamo il sacro col profano, per carità …». A parte le precisazioni di Bertone sullo Ior, quest’anno l’unico tema «in agenda» non c’entra direttamente nulla con i rapporto tra Italia e Santa Sede ed è la «rinuncia» del Papa che non sarà  più tale dal primo marzo. E l’atmosfera quaresimale è più sospesa che mesta, dal segretario di Stato Vaticano al capo dello Stato italiano al premier, fino ai ministri italiani e ai capi dicastero vaticani, sono più o meno tutti in scadenza e poi chissà , «in un caso dipende dallo Spirito Santo e nell’altro soltanto dagli elettori» motteggia un invitato. Il ricevimento è sobrio, le presenze ridotte e istituzionali, tra i politici Bersani e Alfano si sono scusati per l’assenza, Maroni non c’è, Berlusconi era invitato al concerto della settimana scorsa e non è andato, in fin dei conti si vedono solo Casini e Letta anche in virtù dei precedenti incarichi istituzionali e per il resto i presidenti di Camera e Senato con i ministri del governo uscente e i vertici del governo vaticano, a cominciare da Bertone e i «vice» Angelo Becciu e Dominique Mamberti.
Prima della riunione plenaria ci sono gli incontri riservati tra il segretario di Stato vaticano e Monti e poi tra Bertone e Napolitano. Ma anche in questo caso il tema è obbligato. Si parla di ciò che il Papa potrà  ancora dire, ci si prepara all’esegesi dei suoi prossimi discorsi. Oggi l’udienza in San Pietro e l’inizio della Quaresima con l’imposizione delle ceneri, soprattutto domani l’incontro con il clero di Roma: le parole di Benedetto XVI sono attesissime perché ha in programma una riflessione personale sul Concilio Vaticano II e i suoi ricordi. L’unica volta che ne ha parlato in pubblico è stato l’11 ottobre, affacciandosi dalla finestra a festeggiare i 50 anni dal «discorso della luna» di Giovanni XXII. «In questi cinquant’anni abbiamo esperito che il peccato originale esiste e si traduce in peccati personali che possono diventare strutture di peccato, che nel campo del Signore c’è sempre anche zizzania, che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario in tempesta», aveva detto. «Come i discepoli nel Vangelo, qualche volta abbiamo pensato: il Signore dorme e ci ha dimenticato». Sono tempi difficili, siamo reduci dalla «desertificazione spirituale di questi decenni». Allora aveva concluso con un messaggio di speranza: «Il Signore c’è e non ci dimentica e dà  calore ai carismi di bontà  che illuminano il mondo: Cristo è con noi e possiamo essere felici anche oggi».
Resta il cambiamento «normale», tutto italiano, e di quello, ha concluso ieri Napolitano, non c’è da preoccuparsi: «Bisogna avere anche il senso della normalità  di questa dialettica democratica e poi vedremo come avrà  deciso il popolo italiano dopo il 24. Io farò quello che mi tocca fare nella fase immediatamente successiva».

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