Due Pontefici possono convivere? I dubbi dei giuristi
ROMA — C’è chi minimizza. E chi prefigura rischi per la Chiesa. Certo è che la convivenza di due Papi, quello da eleggere e il suo predecessore per la prima volta nella storia recente ancora in vita, Joseph Ratzinger, qualche interrogativo di diritto lo pone.
Padre Ottavio De Bertolis, canonista della Pontificia Università Gregoriana, semplifica. «Dal 28 febbraio Joseph Ratzinger non è più Papa. Punto e basta. Quindi non ci saranno due Papi, ma uno». Quali saranno i suoi diritti e doveri? «Il diritto canonico su questo tace. Dalla prassi è difficile tirar fuori qualcosa perché troppo antica. Ci vorrebbe un teologo. Una cosa è certa resterà vescovo. Perché l’ordinazione è per sempre: il sacerdote resta tale anche se si “spreta”. Ma ipotizzo che rinunciando ad essere Pontefice Ratzinger perderà anche il potere di governo della Chiesa universale, potere esteso anche alle cose di fede». E l’infallibilità ? «L’infallibilità ce l’ha il Papa, in quanto tale, e viene esercitata solo di rado quando si definisce la materia di fede, non quando si predica o si scrive un’enciclica». Si potrà continuare a chiamarlo Sua Santità o Papa emerito? «Sua Santità è un’espressione di uso umano, non è scritta da alcuna parte. La stessa parola Papa significa papà . La prassi dovrà essere costruita». E se vorrà tornare ad intervenire? «Non può. Non è più Papa».
Concorda Gaetano Lo Castro, docente di Diritto Canonico e Diritto Ecclesiastico all’Università La Sapienza: «E’ come se fosse morto. Il Papa che rinuncia non ha più nessuna funzione nella Chiesa». Aveva il diritto di «scendere dalla croce»? «Certo. Lo prevede la norma scritta da Celestino V e recepita anche nel Codice di diritto canonico e nella Costituzione apostolica dello stesso papa Wojtyla. All’articolo 77 si dice che tutto ciò che precede e segue l’elezione del Pontefice deve essere osservato integralmente anche se la vacanza della Sede dovesse avvenire per “rinuncia del Sommo Pontefice”». E sul dopo? «Non c’è nulla perché non è più Papa. Non può intervenire nè nella diocesi, nè come Papa».
Paradossalmente, sono i laici dichiarati a temere di più la situazione. Piero Bellini, accademico dei lincei e professore emerito di storia del diritto canonico, fa notare: la questione posta da papa Wojtyla («Non si scende dalla Croce») un fondamento ce l’ha. Le dimissioni sono previste dal punto di vista giuridico, che non sempre corrisponde al diritto etico. «È un po’ come per gli antichi re che lo erano fino alla morte. In più il Papa è legato da un vincolo sacrale. Se la Chiesa è il Corpo mistico di Cristo il suo capo partecipa di quel misticismo. E se il Papa ha una vicarìa celeste, cioè un potere che gli viene da Dio, allora quel potere non cessa». E, a differenza di un funzionario o un amministratore di azienda — argomenta — ha il dovere di continuare ad esercitare il proprio compito del quale deve rispondere a Dio. «Io sono un coetaneo di papa Ratzinger e so bene che un anziano ha ridotte capacità , ma il fatto che papa Wojtyla sia morto sulla linea di fuoco ha dato prestigio alla Chiesa. Ora la certezza della sacralità del papato, confortata nel passaggio dei secoli, viene messa in discussione. E ci può essere chi dissente. Tutto dipenderà dalla prudenza di Ratzinger che deve essere tanto saggio da evitare attriti. Perché la carica scismatica che si pone, in germe, è un rischio enorme. Non è un bel segnale che lui resti in Vaticano. È un po’ come avere il vecchio padre in casa con cui si deve confrontare il figlio maggiorenne. Da laico arrabbiato dico però che non può essere retrocesso. Non condivido il 99% delle sue idee, ma è un grande pensatore e togliergli il titolo di Sua Santità sarebbe un insulto».
Virginia Piccolillo
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