Draghi non vede spiragli di ripresa E Hollande taglia

by Sergio Segio | 19 Febbraio 2013 8:24

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PARIGI .L’Europa e l’Eurozona continuano ad essere in crisi. L’uscita dal tunnel è ancora lontana. Lo ha confermato ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, di fronte agli europarlamentari: «Non ci sono stati miglioramenti dell’economia reale – ha affermato – sebbene ci siano segnali di stabilizzazione». Per Draghi, gli sforzi fatti finora dovrebbero permettere «una graduale ripresa nel corso del 2013». Ma all’inizio dell’anno si constata «un’ulteriore debolezza». L’economia dell’Eurozona è caduta dello 0,3% all’inizio del 2013, dopo un 2012 finito nella recessione.
Le dichiarazioni di Draghi confermano che nelle alte sfere europee non c’è nessuna intenzione di cambiare rotta. La disoccupazione in crescita, il subbuglio sociale e i gesti di disperazione (come i tanti casi di «torce umane», anche in Francia)lasciano i potenti indifferenti.
La Germania, che guida la danza, pensa di cavarsela da sola. La Bundesbank, nel rapporto mensile pubblicato ieri, afferma che Berlino ha evitato la recessione e che il paese tornerà  a crescere già  nel primo quarto di quest’anno, dopo un calo del pil dello 0,6% nell’ultimo trimestre 2012, che ha ridimensionato la crescita tedesca dell’anno scorso a un +0,7% (contro il +3% nel 2011).
Altra campana in Francia. Oggi Hollande va in Grecia, con l’intenzione di portare «il sostegno» di Parigi al paese che ha fatto «sacrifici più ampi che altrove», ha affermato il presidente francese in un’intervista al quotidiano Ta Nea. Per Hollande «il risanamento economico è necessario, ma non è sufficiente». In altri termini, Hollande respinge a parole l’Europa dell’austerità  senza fine. Ma, nei fatti, la Francia socialista non riesce a rompere la morsa del rigore generalizzato. Dopo aver ammesso di non poter rispettare l’impegno di ridurre il deficit entro il 3% quest’anno, il governo di Jean-Marc Ayrault si sta preparando ad andare a Canossa a Bruxelles, per ottenere una proroga di un anno. Ma c’è un pegno da pagare: tagliare la spesa pubblica. Parigi non potrà  sfuggire alla mannaia, perché teme sia una sanzione da parte di Bruxelles che una punizione da parte dei mercati, con un rialzo dei tassi di interesse (ora storicamente bassi).
La minaccia di un nuovo giro di vite imminente sta facendo vacillare il governo Ayrault: la ministra Verde Cécile Duflot ha messo in guardia, mettendo sul piatto della bilancia anche un’ipotesi di dimissioni: «Nessuno può credere che dall’austerità  nascerà  un ritorno a tempi migliori, c’è anche la necessità  di investimenti. I due devono andare di pari passo». Ma Ayrault ha già  un programma di tagli. Ha chiesto a tutti i ministeri di fare economia, con l’obiettivo di arrivare a 10 miliardi di tagli l’anno, almeno fino al 2015. Per la popolazione ci sarà  un’ulteriore perdita del potere d’acquisto delle pensioni, meno aiuti alle imprese, tagli ai finanziamenti degli enti locali. C’è anche l’ipotesi di una tassazione degli assegni famigliari (cosa che in Francia sta suscitando una levata di scudi, anche a destra, perché questi assegni sono considerati parte della politica a sostegno della natalità , del resto tra le più alte d’Europa, e non uno strumento di redistribuzione). Hollande è preso in una tenaglia e ha le mani legate. Anche la Francia, seconda potenza della zona euro e quinta mondiale, deve piegarsi all’ortodossia dominante.

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