Dallo Ior all’Idi, il cardinale Bertone e la «strategia del fatto compiuto»

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Di colpo, quello che prima appariva impossibile o secondario, si sblocca e diventa fattibile. Sotto gli occhi un po’ sconcertati di alcuni degli stessi cardinali in arrivo per il Conclave, programmato per il 15 marzo, in pochi giorni è stato nominato il presidente dello Ior; cambiata per un quinquennio la Commissione cardinalizia di vigilanza della banca vaticana; e nominato il «delegato pontificio» all’Istituto dermatologico italiano (Idi), da mesi in sofferenza per una gestione fallimentare.
La scelta di intervenire per salvare l’Idi, in particolare, viene considerata una mossa positiva. Si tratta di un centro di eccellenza lasciato andare alla deriva, con i dipendenti per mesi senza stipendio, da parte della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione. La scelta del cardinale Giuseppe Versaldi, fedelissimo del segretario di Stato, Tarcisio Bertone, garantisce un interessamento diretto e di peso. La decisione è stata presa da Benedetto XVI e formalizzata ieri, ma nonostante questo le reazioni soddisfatte si mescolano a quelle guardinghe. Pesa l’ombra del tentativo di salvataggio dell’ospedale San Raffaele, che gli uomini di Bertone non riuscirono a portare a termine; e che si è risolto con conflitti dentro i vertici vaticani tali da destabilizzare lo Ior nel maggio del 2012.
La prospettiva di assistere a una variante di quell’operazione, tesa a dare forma a un grande «polo sanitario» sotto il controllo delle persone più vicine al segretario di Stato, ha creato qualche ritardo nella comunicazione della notizia. L’ipotesi che il Vaticano si impegnasse finanziariamente sarebbe stata oggetto di discussione. Ma nel comunicato della sala stampa di ieri si precisa che Versaldi agirà  «escludendo una partecipazione della Santa Sede in tali opere». Oltre tutto, rimane aperto un fronte giudiziario che costituisce un’incognita. E il cardinale spedito a risanare l’Idi è lo stesso che mesi fa, secondo una ricostruzione apparsa sul Foglio del 20 ottobre scorso, creò qualche sconcerto osservando, a proposito di finanze vaticane: «Nei casi di cattiva amministrazione dei beni ecclesiali, come terapia deve valere nella Chiesa la medicina evangelica della correzione fraterna. Prima della denuncia all’autorità  deve valere il confronto personale..».
Sono soprattutto il metodo e la tempistica, tuttavia, a provocare mugugni diffusi, probabilmente destinati a diventare qualcosa di diverso al momento del Conclave. Il decisionismo delle ultime ore fa storcere il naso a quanti ritengono che nel vuoto di potere apertosi con l’annuncio dell’11 febbraio, sarebbe stato meglio aspettare l’insediamento del nuovo Papa. Si parla di perplessità  manifestate da cardinali sudamericani e dell’Oceania, oltre che italiani. E il richiamo dell’episcopato statunitense a evitare un Conclave frettoloso viene indicato come il segno di un altolà  a qualunque accelerazione impropria. Il fatto che dalla commissione cardinalizia dello Ior sia uscito il cardinale Attilio Nicora, considerato in rapporti non buoni con Bertone, e sostituito con Domenico Calcagno, bertoniano di stretta osservanza, ha suscitato i primi sospetti. Adesso, la scelta di Versaldi minaccia di rafforzarli; e di offrire magari strumentalmente armi agli avversari del «primo ministro» vaticano.
I critici di Bertone denunciano una «strategia del fatto compiuto», per mettere alcuni centri di potere al riparo da qualunque cambiamento prima dell’arrivo del successore di Benedetto XVI. D’altronde, l’accusa a Bertone di avere il monopolio del controllo delle finanze vaticane non è di oggi. Risale allo scorso anno, quando fece nominare Calcagno all’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica; Versaldi alla prefettura degli affari economici; e un terzo fedelissimo, Giuseppe Bertello, a capo del Governatorato.
Ufficialmente fu proprio la designazione di Bertello, ex nunzio in Italia, a provocare la reazione furiosa di monsignor Carlo Maria Viganò, allora segretario del Governatorato e sicuro di essere promosso. Le sue lettere di fuoco spedite al Papa per denunciare la corruzione nell’amministrazione delle finanze vaticane sono state una stella fissa nella ricostruzione delle faide fra monsignori e cardinali che si sono consumate negli ultimi due anni. Quando esattamente un anno fa, il 18 febbraio del 2012 il Concistoro nominò una serie di «berretti rossi», fra i quali quelli appena citati, si parlò di una vittoria della Curia e di un rafforzamento della pattuglia bertoniana e del «partito italiano» in vista di un futuro Conclave. In realtà , presto apparve una vittoria numerica, più che di peso. E comunque fu bilanciata mesi dopo da un successivo Concistoro nel quale non un solo italiano fu promosso cardinale.
Nel frattempo si è ugualmente consolidata la fama di un Segretario di Stato dato in disgrazia dagli avversari, che hanno continuato ripetutamente a chiedere al Papa di sostituirlo; e che invece è riemerso sempre come un collaboratore del quale Benedetto XVI non sembra in grado di fare a meno. «Ogni volta che sono a tu per tu», racconta un alto prelato, stupito e insieme infastidito, «Bertone riesce a ottenere quello che vuole». Le decisioni degli ultimi giorni confermano questa vulgata, e preparano forse altre sorprese. Anche se pochi sono disposti a scommettere che la strategia dei fatti compiuti possa reggere all’impatto con l’elezione di un nuovo pontefice. Per paradosso, la rapidità  decisionale di questi giorni potrebbe gettare sulle istituzioni interessate un’ombra di provvisorietà  della quale la Santa Sede pagherebbe le conseguenze; ed essere usata come un’arma dai cardinali elettori per contrastare alcuni «papabili».
Non si può dire che siano scenari molto spirituali. Rischiano di offrire un’immagine distorta e riduttiva del futuro Conclave. Ma le dimissioni di Benedetto XVI cambiano lo sfondo anche da questo punto di vista. Costringono a guardare in faccia una realtà  meno edificante e pia di quella che i vertici ecclesiastici hanno offerto in passato, e tentano di accreditare anche adesso. Ieri, nella folla di porporati che si accalcavano nel Palazzo apostolico vaticano per seguire gli esercizi spirituali guidati dal cardinale Gianfranco Ravasi, biblista raffinato, questi veleni arrivavano attutiti. Si parlava sotto voce di «papabili», si scrutavano i possibili candidati che a loro volta si schermivano: come d’obbligo. Eppure, dietro questi fruscii si stanno saldando gli ultimi conti. Si scavano trincee per prepararsi a difendere posizioni di rendita davanti a qualunque insidia dovesse provenire dal successore di Benedetto XVI e da nuovi collaboratori decisi a sapere e ad andare fino in fondo.


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