Dai tango bond alle finte statistiche Le bugie «creative» dell’Argentina
I candidati alle elezioni mentono, e si sa. Dicono bugie anche tanti governanti, durante e dopo l’esercizio delle loro funzioni. Poi c’è il caso dell’Argentina, dove esagerazioni, omissioni e balle assortite sembrano sempre un affare di Stato. Si richiamano a una tradizione che non muore mai, si perpetua nella storia e nei cicli della politica. Come se a mentire fosse una nazione intera, davanti al resto del mondo. Naturalmente non è così, e milioni di argentini seri e onesti lo dimostrano. Anche soffrendo come cani bastonati — e capita in questi giorni — per l’ennesima figuraccia del loro governo.
Cristina Kirchner, come già faceva suo marito Nestor, imbroglia da anni sull’inflazione. I dati ufficiali la riducono di due terzi, a voler essere buoni: la crescita dei prezzi nella realtà si aggira sul 25 per cento ma il governo dichiara il 7-8. La bugia serve a imbellettare una quantità di altri numeri dell’economia. Da tempo l’Economist si rifiuta di pubblicarli, caso inedito per una democrazia. Tre mesi fa infine, la numero uno del Fondo Monetario, Christine Lagarde, avvertì la sua omonima che abita alla Casa Rosada con linguaggio calcistico. Siamo al cartellino giallo, o cambiate registro o tiriamo fuori il rosso. Poiché nulla è successo, eccoci alla vigilia dell’espulsione: è la prima volta che il Fmi minaccia così un suo membro. Probabilmente nulla succederà , ma quanto l’Argentina potrà andare avanti?
Se lo chiedeva anche un genio come Jorge Luis Borges, coscienza del suo Paese, quando se la prendeva con i peronisti dei suoi tempi, maestri spirituali di Cristina. «Non sono né buoni, né cattivi, ma semplicemente incorreggibili». E quando allo scrittore raccontarono che l’inno del Partito giustizialista era in realtà il plagio di una marcetta scozzese, rispose placido: «Bene, è la conferma che tutto in questo Paese è di paccottiglia». Di Evita Peron, mito massimo di Cristina, le rivisitazioni storiche non si contano, la sua iconica biografia è gonfia di frottole, a cominciare dall’età . Si toglieva tre anni. Non era nata nel 1922 come diceva, ma nel 1919. Il musical di Broadway esagerò poi sulle origini miserabili (in realtà proveniva da una solida famiglia di classe media) e la propaganda ufficiale inglobò la fiction, fino ai giorni nostri.
Mentirono a lungo al Paese e al mondo i generali assassini della dittatura (e sparire divenne eufemismo di finire ammazzato), così come annunciarono la vittoria sulla Gran Bretagna nella guerra delle Falkland, che poi finì rovinosamente perduta. Non perse il vizio Carlos Menem, mix di tracotanza cafona e peronismo all’antica: sue alcune delle balle più grossolane della storia argentina, a partire dalla riforma economica. Riuscì a far credere agli argentini per dieci anni che un peso valesse quanto un dollaro, fino al tragico finale. Ma riuscì a superarsi nel 1996, quando davanti a una scolaresca inventò che dall’Argentina si sarebbe presto arrivati in Giappone o Corea in un’ora e mezza, grazie ad un sistema di voli stratosferici in partenza da Cordoba. L’unica verità forse Menem la disse nel 1990, in campagna elettorale: «Non so se risolverò i problemi economici. Di sicuro farò dell’Argentina un Paese più divertente». Non è stato così per i 300 mila italiani che poco dopo la fine del suo mandato si ritrovarono tra le mani carta straccia al posto dei tango bond che gli erano stati venduti.
In fondo non mentì Diego Maradona, con il suo famoso gol di pugno all’Inghilterra nei Mondiali del 1986. Lo fece e non disse «non è vero», ma che era stata la «mano de Dios», il che può sempre essere, a crederci. Divenne comunque, da più grande calciatore in circolazione, anche l’icona di una certa furbizia latina, che i popoli del Nord non capiranno mai, giustamente. E che non esime noi italiani da una certa responsabilità , per lo meno genetica: oltre il 50 per cento del sangue che circola attorno al Rio de la Plata viene dalle nostre parti. Quindi piano con generalizzazioni e barzellette, il cui campionario sugli argentini sbruffoni e cacciaballe popola l’America Latina. E sulle frottole di Stato, qualche legame cromosomico potrebbe anche starci.
«Parlo sempre con i giornalisti!», rispose candida poche settimane fa Cristina Kirchner a uno studente di Harvard, la cui domanda devastante fu: «Perché sono l’unico argentino a poterle fare una domanda?» La «presidenta» non ha mai indetto una conferenza stampa in sette anni di governo. Una concezione della realtà che si allarga alle leggi, come quella sui media che proibisce agli stranieri di detenere il 30 per cento di una impresa editoriale. Ma quando una tv amica, come Telefé, è amica del governo, ecco che la sua proprietà spagnola al 100 per cento d’incanto diventa più argentina della bistecca di chorizo. «Non ho mai preteso di essere un esempio di virtù — disse un’altra volta l’ineffabile Maradona —. Vorrei soltanto vivere la mia vita in pace». Ecco, per fortuna non si è fatto eleggere. Né a Buenos Aires, né a Napoli.
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