Critiche incrociate sul compromesso raggiunto da Monti

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Si tratta di un viatico che il premier potrebbe far pesare in una campagna elettorale impervia e confusa. Eppure, le sue affermazioni su un bilancio dell’Unione Europea che segna «un miglioramento significativo» rispetto ad altri Stati membri vengono accolte da un coro ostile in Italia: probabilmente anche perché il voto del 24 e 25 febbraio non consente riconoscimenti ai concorrenti. Ma nel «pollice verso» mostrato immediatamente forse c’è dell’altro.
La critica del Pd verso il compromesso raggiunto ieri sera riflette l’insoddisfazione dei partiti socialdemocratici europei nei confronti di tagli imposti dalle forze del «rigore»: governi del Nord decisi a esprimere anche così le loro diffidenze nei confronti di quello che percepiscono come lassismo finanziario delle nazioni mediterranee e indebitate. La preoccupazione sul versante della politica interna è invece quello di una sinistra che si sente a pochi passi dalla vittoria alle urne. Insiste da tempo sul binomio sacrifici-crescita per emanciparsi dal programma della coalizione montiana. E constata invece che i vincoli europei non si allentano ma si stringono. Colpiscono le parole allarmate di Vasco Errani, presidente della Conferenza delle regioni e uomo-ombra del segretario Pier Luigi Bersani.
Dopo avere analizzato la bozza del bilancio europeo dal 2014 al 2020, Errani esprime la sua «grande preoccupazione per il taglio drammatico dei fondi alla crescita». «Occorre cambiare strada, altrimenti cresceranno i problemi per l’Europa e per l’Italia». Affiora l’impressione di una critica velata al modo in cui il presidente del Consiglio ha condotto la trattativa. Ma Errani lo nega, sottolineando che a suo avviso il problema è l’egoismo di alcuni Stati del Nord Europa, dominati da un malinteso rigorismo «luterano». In controluce traspare il conflitto di ricette economiche fra «famiglie» dei conservatori e dei socialdemocratici continentali.
«Prima di tosare la pecora bisogna nutrirla», ricorda l’ex premier Giuliano Amato, citando la celebre metafora sul capitalismo del primo ministro socialdemocratico svedese Olof Palme, ucciso in un attentato nel 1986. «È stata l’Europa conservatrice», secondo Amato, «che ha fatto il danno. Ci ha condannati a una austerità  necessaria, ma che doveva essere accompagnata da politiche per la crescita». Ma per il momento un’alternativa non esiste; comunque non passa. Per quanto ritenuta insufficiente, o sbagliata, la politica economica che ha in Germania, Olanda, Finlandia, Gran Bretagna gli ancoraggi più solidi, non cambia. E promette mesi e anni duri per le nazioni mediterranee. Ma Monti è chiamato in causa direttamente come presunto responsabile di un compromesso al ribasso solo dal centrodestra.
Il partito di Silvio Berlusconi vede nell’inquilino a Palazzo Chigi l’avversario-principe alle elezioni, e l’alleato della Germania del cancelliere Angela Merkel. «L’Italia», ha spiegato il segretario Pdl, Angelino Alfano, «da questa riunione sul bilancio non guadagna nulla, perde posizioni e non mi pare che gli interessi italiani siano stati difesi adeguatamente». Pazienza se il capo del governo uscente ricorda di avere discusso «uno o due mesi fa» la strategia da tenere a Bruxelles col segretario del Pdl, Angelino Alfano, con Bersani e col leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini. I calcoli elettorali portano a sottolineare un risultato che appare a molti controverso, se non deludente. Eppure, l’esito sembra figlio in buona parte dei rapporti di forza europei. Sono vincoli sgradevoli da riconoscere, ma utili a suggerire qualche riflessione su promesse elettorali miracolistiche, avulse da qualunque realtà .


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