Come cresce l’occupazione giovanile

by Sergio Segio | 20 Febbraio 2013 7:48

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Come ha fatto Berlusconi parlando di defiscalizzazione e decontribuzione dei contratti quadriennali Le riforme non hanno funzionato per errori legislativi Tra i necessari interventi normativi nel campo del lavoro e previdenza sociale, di cui abbiamo tracciato il quadro complessivo (il manifesto 28.1.13 e 2.2.13), va riconosciuta la prioritaria importanza della disoccupazione giovanile, le cui percentuali hanno raggiunto dimensioni catastrofiche.
Tutti i partiti politici ricordano la centralità  del problema e affacciano proposte di soluzione che non escono dal generico, dimostrando anche una assoluta ignoranza dei dati normativi e di esperienza. Si pensi alla”originale proposta” di Berlusconi di decontribuzione e defiscalizzazione quadriennale per nuovi rapporti di lavoro. Si tratta della “scoperta dell’acqua calda”, visto che è stato compiutamente ridisciplinato l’apprendistato utilizzabile per l’ingresso al lavoro dei giovani tra i 18 e i 29 anni ed altresì per il reinserimento lavorativo dei lavoratori in mobilità  di qualsiasi età . Tale contratto prevede un sostanziale abbattimento della contribuzione dovuta dal datore di lavoro per tutta la durata del rapporto di apprendistato ed anche per l’anno successivo in caso di conferma e cioè per quattro anni. Inoltre la legislazione nazionale e regionale è fittissima di previsioni di incentivazione economica per l’assunzione di giovani: una vera giungla di benefici e buone intenzioni. Eppure la situazione della disoccupazione giovanile resta drammatica.
Perché non funziona questo complesso apparato di incentivi e benefici? I motivi sono,da un lato,il fatto che se non esiste una domanda di forza lavoro aggiuntiva – come non esiste in tempi di crisi – gli incentivi non possono di per sè suscitarla, e, dall’altro, che la previsione di incentivi economici e finanziari ha il limite di affidarsi ad un funzionamento automatico, con sperata incidenza favorevole sulle decisioni dell’imprenditore. L’esperienza storica dimostra che questa via è poco produttiva e che quella che fa scaturire l’effetto occupazionale è la via dell’adempimento di un impegno contrattuale preso dall’imprenditore in uno specifico contratto aziendale o territoriale con controparti sindacali, ancorché motivato da un contesto di convenienza. La vicenda dei contratti di formazione e lavoro degli anni ’80 e ’90 è esemplare: l’istituto riuscì effettivamente a “pompare”molta occupazione giovanile (poi per larga parte stabilizzata) proprio perché la fruizione degli incentivi passava per un accordo con le organizzazioni sindacali. Queste, già  nel concludere il contratto-cornice prevedente numero e caratteristiche dei futuri contratti individuali dei contratti di formazione e lavoro, richiedevano ai datori un impegno vincolante ad assumere definitivamente una alta percentuale (80% – 95%) dei lavoratori in formazione e lavoro.
L’altro corno del problema riguarda la domanda aggiuntiva di lavoro. Un aumento dell’occupazione complessiva, anche giovanile, dovrebbe richiedere nuove iniziative economiche, ma in parallelo si può perfettamente praticare una soluzione immediata che dia una prima risposta di massa alla necessità  di una accesso al lavoro dei giovani,e ciò mediante un originale incrocio tra i riformati contratti di apprendistato da un lato, ed un riformato contratto di solidarietà  “espansivo” dall’altro.
Il contratto di apprendistato riformato si presta allo scopo di inserimento lavorativo dei giovani perché è già  molto incentivato dal punto di vista dei costi contributivi ed anche retributivi (è consentita una temporanea sotto qualificazione dell’apprendista) e presenta la caratteristica di “non immediata stabilità ” del rapporto, gradita dagli imprenditori, e tuttavia assicura per la sua durata triennale che il rapporto sarà  stabile fino alla trasformazione finale: la quale può essere “pre garantita” dalle organizzazioni sindacali nel corpo stesso del contratto per un altissima percentuale.
L’altro punto dell’incrocio è costituito dal contratto di solidarietà  “espansivo”, accordo collettivo poco o nulla usato, diversamente dal contratto di solidarietà  “difensivo” ( introdotti entrambi dal D.L. 726/84). Il contratto “difensivo” consiste in una riduzione dell’orario lavorativo, distribuita tra tutti i lavoratori interessati ad una crisi aziendale e occupazionale ed evita le sospensioni “a zero ore”, con il vantaggio che ogni lavoratore vede retribuito dalle Cig il 60% delle ore perdute. Nel contratto di solidarietà  “espansivo”,la riduzione di orario dei lavoratori già  in forza serve a “creare spazio”, in proporzione alle ore liberate, a nuovi assunti: dalle assunzioni quindi non deriva al datore di lavoro alcun onere perché il monte ore sostitutivo rappresentato dai nuovi assunti è esente da contribuzione o è soggetto ad una contribuzione ridotta, diversamente dal quantitativamente identico monte ore che viene decurtato da quello totale dei lavoratori già  in forza, che era invece pienamente soggetto alla normale contribuzione.
L’efficacia di accesso all’occupazione di nuovi soggetti derivanti da questo schema è ingente: riducendo l’orario di lavoro di sole 4 ore alla settimane, ovvero del 10%, si crea un nuovo posto di lavoro ogni 9 lavoratori già  occupati e se la riduzione fosse di sette ore settimanali, ossia di una giornata lavorativa , lo spazio creato sarebbe di un posto di lavoro ogni 5 lavoratori già  occupati.
I contratti di solidarietà  espansiva non hanno funzionato perché il legislatore non previde per loro quella indennizzazione parziale (al 60%) del ore perdute che è prevista per i contratti di solidarietà  difensivi. Per questi,una riduzione dell’orario lavorativo di un giorno alla settimana significa la perdita di sole tre ore di salario ed è quindi comprensibile che i lavoratori vi si adattino agevolmente, mentre nel caso dei contratti “espansivi” sarebbe possibile la resistenza dei già  occupati a perdere sette ore di salario, sia pure per uno scopo nobile. Una seconda ragione è che la loro disciplina prevedeva le assunzioni del nuovo personale con normali rapporti di lavoro a tempo indeterminato e con modesta incentivazione economica. Il che suscitava negli imprenditori un interesse minore di quello connesso a rapporti “flessibili”, di probabile ma non sicura stabilizzazione.
Queste difficoltà  potrebbero essere rimosse, da un lato, assicurando, per le ore perdute dai già  occupati, una indennizzazione pari a quella prevista per i contratti di solidarietà  “difensivi”,e, dall’altro, utilizzando i contratti di apprendistato nel quadro regolativo derivante da un accordo sindacale quale è il contratto di solidarietà  “espansiva”.
Importa sottolineare dunque che da un accorto “incontro” tra i due istituti deriverebbero vantaggi per tutte le parti interessate. a)Infatti il datore di lavoro utilizzerebbe forza lavoro in parte nuova e fresca, senza inflazionare la quantità  complessiva delle ore lavorate e da retribuire, e realizzando un sicuro risparmio contributivo, cui ben potrebbe aggiungersi alcuno dei contributi a pioggia regionali recuperati da norme che verrebbero superate. Conserverebbe anche una certa discrezionalità , seppur ragionevole, nel valutare la maturità  e capacità  professionale espressa dai singoli lavoratori alla fine del triennio.b) I lavoratori già  in forza affronterebbero apparentemente un certo sacrificio, non eccessivo perché variabile tra un ora e mezza e tre ore settimanali, a seconda che la riduzione sia di 4 e 7 ore, ma con il guadagno, nel secondo caso, di una giornata libera in più a settimana, con evidente vantaggio esistenziale. Inoltre la modesta perdita retributiva potrebbe esser colmata con accordi decentrati relativi a prestazione di welfare aziendale (buoni pasti ecc.). c) I giovani neo assunti inizierebbero una vera vita lavorativa, non più con un contratto precario “a perdere”, ma con un contratto professionalizzante e di durata, senza cadere in deteriori pratiche di sfruttamento, giacché il “percorso” sarebbe oggetto di regolazione sindacale nello stesso accordo di solidarietà  “espansivo” con garanzie anche rispetto agli esiti finali. d) Le organizzazioni sindacali vedrebbero rivalorizzate la loro funzione ed eserciterebbero un rinnovato controllo sull’organizzazione del lavoro. e) Dal punto di vista dei costi,non vi è la necessità  di istituire tasse di scopo, in quanto qui si utilizzano istituti già  esistenti, come i contratti di apprendistato, per i quali è stabilita una esenzione contributiva,e i contratti di solidarietà , che sono a carico della Cig.
Tuttavia è opportuno ripetere che gli interventi di politica sociale devono essere finanziati innanzitutto con il recupero dell’evasione fiscale e contributiva, prima ancora di pensare ad altri tipi di interventi, fossero pure a carico dei ceti privilegiati. Per abbattere decisamente l’evasione (150/300 miliardi annui) sarebbe strumento decisivo la trasparenza fiscale,facendo conoscere in rete le denunzie dei redditi di ogni soggetto. Con il provvedimento 5 marzo 2008 del vice ministro Visco, il 30.4.2008 diventò possibile, accedendo al sito dell’Agenzia delle entrate, conoscere l’ammontare della denuncia dei redditi del 2005. La possibilità  durò sette ore, perché l’alzata di scudi (compresa l’Autorità  per la privacy) di coloro che avevano qualcosa da temere dalla “trasparenza” fu tale che nella serata dello stesso giorno il provvedimento fu ritirato, dopo che gli accessi al sito si erano contati a centinaia di migliaia. Basterebbe quella gratuita misura per aumentare il gettito poniamo di 50 miliardi l’anno, cioè di un importo sufficiente a finanziare la soluzione di enormi problemi sociali come un piano straordinario di inserimento lavorativo di giovani, l’istituzione del reddito minimo garantito per gli inoccupati e la salvaguardia di tutti gli esodati.
(* giuslavorista, candidato al Senato in Campania nella lista “Rivoluzione civile”)

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