Cina, il discorso segreto del leader Xi

by Sergio Segio | 16 Febbraio 2013 8:02

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PECHINO — Ha già  parlato molto Xi Jinping, nei tre mesi da quando è stato incoronato leader del partito unico e della Cina. Ha usato slogan come «sogno cinese» e «grande rinnovamento della nazione»; moniti come «ritorno alla frugalità » e «lotta a tigri e mosche», modo per definire i corrotti, siano alti gerarchi o piccoli burocrati di campagna. La stampa locale, con l’assenso della censura, si è lanciata nella denuncia di sprechi e malversazioni. Ma c’è un discorso del nuovo imperatore, proprio uno dei primi, che sulla stampa cinese non si è letto. Perché Xi lo ha pronunciato a porte chiuse, diretto solo ai quadri del regime. Tema: «Perché l’Unione Sovietica si è disintegrata? Perché il partito comunista sovietico è crollato?».
Una domanda che deve aver scosso la platea di Shenzhen nella provincia meridionale del Guangdong, dove Xi è andato a dicembre non a caso: voleva segnalare una vicinanza con Deng Xiaoping, che nel 1992 aveva fatto uno storico «viaggio al Sud» per rilanciare riforme e aperture economiche bloccate dal massacro della Tienanmen.
Il segretario ha dato subito la risposta: «I sovietici sono caduti perché i loro ideali e le loro convinzioni vacillavano. E alla fine bastarono poche parole di Gorbaciov per decretare la fine di un grande partito e lo scioglimento dell’Urss. In quell’ora nessuno si dimostrò uomo, nessuno si fece avanti per resistere».
Il discorso di Xi naturalmente è stato raccolto in un documento riservato, ma ora qualcuno ne ha consegnato una sintesi al New York Times, lo stesso giornale che potè pubblicare alla vigilia del Congresso di novembre un dossier sulle ricchezze accumulate dalla famiglia del premier Wen Jiabao. Evidentemente qualcuno piuttosto in alto nella nomenklatura ha scelto il grande quotidiano americano per far filtrare informazioni (scomode per qualcuno e utili per qualcun altro).
Ci vorrà  tempo, in Cina e fuori, per interpretare il pensiero di Xi Jinping. Qualche giorno fa ha detto in pubblico che il partito deve accettare «critiche anche aspre». Poi ha ammonito i dirigenti a farla finita con tappeti rossi e banchetti interminabili: «Bastano quattro piatti e una zuppa». Ma sul fronte delle liberalizzazioni ha citato il famoso detto di Deng sul progresso, che dev’essere perseguito come «quando si guarda un fiume, tastando i sassi uno ad uno».
«Per ora cerca di essere due personaggi insieme», ha detto al New York Times Christopher Johnson, che è stato analista di questioni cinesi alla Cia. E ha concluso: «La domanda è: quanto a lungo potrà  andare avanti con gesti come quello dei quattro piatti e una zuppa prima di dover prendere le decisioni difficili?».
Dunque il problema è non fare la fine dell’Unione Sovietica e del suo partito comunista. Il discorso di Xi Jinping è incredibilmente simile al pensiero del professor Yasheng Huang, che insegna Politica economica al Mit di Boston e ha appena scritto su Foreign Affairs un saggio dal titolo «Democratizzare o morire». La sua analisi parte dalla constatazione che il blocco antiriformista del partito ha avuto il sopravvento dalla grande repressione di piazza Tienanmen, nel 1989. Ma ora si stanno levando voci all’interno della gerarchia più alta, aiutate anche dalle richieste di onestà , trasparenza e responsabilità  di fronte alla legge che vengono da milioni di cittadini che parlano sul web. «Il potere deve affrontare le riforme politiche o si troverà  a fronteggiare una rivoluzione, nel giro di dieci anni», scrive e spiega: «Fino ad ora ciò che ha trattenuto i cinesi dal rivoltarsi non è stata la carenza di domanda democratica, ma la mancanza di offerta».
Xi Jinping, 59 anni, è il figlio di un eroe rivoluzionario della prima ora, ma è anche il primo timoniere della Cina ad essere nato dopo il 1949, anno in cui Mao proclamò la nascita della Repubblica popolare. Quello che con il suo discorso a porte chiuse ha voluto dire ben chiaro al partito è che lui non sarà  un secondo Gorbaciov, nel bene e nel male.
Guido Santevecchi

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