Cgil, il paradosso Pizzinato

by Sergio Segio | 16 Febbraio 2013 8:17

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Potremmo sintetizzarla così: nel 1986 la Cgil deve avvicendare Luciano Lama che l’ha governata per quattordici anni, i segretari confederali iscritti al Pci si riuniscono a Botteghe Oscure e decidono di puntare non su Bruno Trentin, sindacalista e intellettuale di prestigio, bensì sul milanese Pizzinato, ex operaio Borletti con una buona carriera nelle strutture interne, uomo senza tanti grilli per la testa e che con il suo curriculum rappresenta Sesto San Giovanni e il Nord industriale.
La segreteria Pizzinato parte sotto grandi auspici, ma dura però solo due anni: nel novembre del 1988 con grande onestà  il successore di Lama prende atto di essere stato messo in minoranza e rimette il mandato nelle mani della segreteria confederale. Prenderà  il suo posto proprio Trentin, lo sconfitto della volta precedente.
Del caso Pizzinato e delle dinamiche che avevano portato a uno stop and go così ravvicinato, in questi venticinque anni se n’è parlato molto poco per una sorta di rispetto dell’integrità  morale di entrambi i protagonisti principali. A riaccendere i riflettori sulla più corta leadership della Cgil oggi è proprio il diretto interessato, con un libro — Viaggio al centro del lavoro, edito dalla casa editrice della Cgil (pp. 312 18) — che racconta sessant’anni di storia sindacale. Ma siccome Pizzinato non è uomo di ripicche e tantomeno vendette, bisogna saper spulciare tra le righe e nei documenti ufficiali riportati del libro per farsi un’idea di ciò che avvenne in corso d’Italia a Roma, quartier generale della Cgil, tra l’86 e l’88.
Friulano d’origine e sestese di adozione, Pizzinato è alto e magrissimo tanto da assomigliare — come chiosa il giornalista Bruno Ugolini — all’Henry Fonda di «Furore», il film tratto dal romanzo di Steinbeck. Sulla sedia di Lama l’ex operaio Borletti ci arriva con un programma che potremmo racchiudere in due punti: rimettere l’organizzazione dei lavoratori in sintonia con le trasformazioni reali dell’industria, e rifondare il sindacato. Due punti, che analizzati con il senno di poi, suonano ambiziosissimi. Specie il secondo che, parole di Pizzinato nel discorso con cui lascia la carica di numero uno, «ha incontrato sul suo cammino opposizioni, remore, resistenze, stravolgimenti e distorsioni sia in modo aperto che sotterraneo». Il guaio è, prosegue Pizzinato, che «invece di perseguire la via alta della politica ci siamo ritrovati in un clima di bassa politica».
Che tipo di Cgil era quella in cui si consumavano silenziosissime lotte di potere? Era innanzitutto un sindacato in cui i legami con il partito contavano tantissimo. I segretari confederali iscritti al Pci erano legati in una corrente che nei momenti topici si riuniva a via delle Botteghe Oscure, ed proprio nel Palazzo Rosso che si scelse Pizzinato per sostituire Lama. Il Pci diffidava di Trentin e del suo carisma e invece riponeva grande fiducia nell’operaio di Sesto. Nella riunione-chiave è proprio Pizzinato a introdurre qualche dubbio sulla sua promozione e a consigliare una soluzione-ponte. L’unico che si trova d’accordo con lui è Giorgio Napolitano, ma sarà  Lama a tagliare corto: «Antonio, sappi che non sei tu a dover decidere». La notizia della consultazione a Botteghe Oscure filtra sull’Ansa e viene ripresa dall’«Unità » diretta allora da Emanuele Macaluso, che da giornalista doc riceverà  una dura lettera di protesta da Fausto Bertinotti. Il futuro segretario di Rifondazione, che avrà  poi un ruolo decisivo nel mettere in minoranza Pizzinato, a nome della segreteria confederale rimproverava Macaluso per non aver taciuto la notizia.
Quanto all’altro punto dell’Agenda Pizzinato — la sintonia con le trasformazioni dell’industria per ricostruire il potere contrattuale — i risultati non furono nemmeno in questo caso all’altezza delle aspettative. Al momento di lasciare, il segretario ammise (auto criticamente) che la Cgil non era stata ancora in grado di fare i conti con il decennio 75-85, con i motivi che avevano portato il sindacato a subire dure sconfitte, il tutto mentre avvenivano «i più grandi processi di ristrutturazione e di innovazione tecnica» non solo in fabbrica ma anche nella società .

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