Celestino V e gli altri, una storia tormentata
Il Codice di diritto canonico recita: «Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti» (canone 332, comma 2). Parole che non hanno bisogno di commenti e che, accostate a quelle di Benedetto XVI in Luce del Mondo (con Peter Seewald, Libreria editrice vaticana 2010), aiutano a comprendere la decisione: «Se un Papa comprende di non essere più in grado fisicamente, psicologicamente e spiritualmente, di assolvere ai doveri del suo ufficio, allora ha il diritto e, in alcune circostanze, anche l’obbligo di dimettersi».
È difficile trovare nella storia del papato altri casi analoghi, giacché soltanto Celestino V può rappresentare un significativo precedente per Benedetto XVI. Altri successori di Pietro hanno abdicato, ma sovente lo fecero in circostanze particolari; la loro, in altri termini, non è stata una scelta paragonabile all’attuale. Per esempio, Clemente I, santo e Papa — secondo la Storia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea — dal 91 o 92 al 101. Arrestato ed esiliato, non è certo che rinunciasse a favore di Evaristo: così come non abbiamo a nostra disposizione notizie «attendibili» su questo successore (John N. D. Kelly, The Oxford Dictionary of Popes). Il martirio di Clemente è documentato soltanto dal IV secolo, tuttavia è attestato dal Liber pontificalis, preziosa collezione di biografie papali da Pietro a Pio II (morto nel 1464). Ireneo, figura di spicco tra i Padri del II secolo, nel suo trattato Contro le eresie ricorda la relazione personale che ebbe con Pietro e Paolo.
La prima vera abdicazione si ha con Ponziano, che resse la Chiesa sino al 235 quando, insieme al presbitero Ippolito, fu condannato alle miniere in Sardegna. Non potè in quelle condizioni portare a termine il mandato, si dimise e venne eletto Antero. Il 28 settembre, giorno del suo ritiro, è attestato dal Catalogo Liberiano del IV secolo: è anche la prima data registrata con precisione nella storia dei Papi, dal momento che — sottolinea l’Oxford Dictionary of Popes — «altre apparentemente certe sono invece basate soltanto su deduzioni».
Anche Silverio, Papa e santo, fu al centro di una vicenda di dimissioni. Non furono volontarie. L’Enciclopedia Cattolica (12 volumi, Città del Vaticano 1948-54) così narra i fatti: «Nel marzo 537 per la terza volta fu chiamato al palazzo di Belisario, e mentre i suoi chierici furono fermati in anticamera, Silverio fu introdotto e accompagnato dal solo Vigilio. Improvvisamente un diacono gli tolse di dosso il pallio mentre altri due lo rivestivano con abito monacale. Ai chierici in attesa fu annunziato che Silverio non era più Papa e che pensassero ad eleggere il successore: naturalmente l’eletto fu Vigilio! Silverio fu mandato in esilio a Patara in Licia; quivi potè far conoscere al vescovo del luogo il vero stato delle cose, e questi santamente ardito si recò da Giustiniano rimproverandogli l’atroce misfatto». Non si creda che la faccenda si concludesse felicemente: «L’imperatore ordinò allora che Silverio fosse ricondotto a Roma e sottoposto a un regolare giudizio, ma giunto in Italia fu consegnato a Vigilio che lo fece relegare nell’isola Palmaria dove morì di stenti e di fame». Vigilio fu Papa sino al 555.
Martino I (morto nel 655 in Crimea), non riconosciuto Papa dall’imperatore Costante II e fatto imprigionare dall’esarca Teodoro Calliopa, non diede vere e proprie dimissioni: durante il suo esilio elessero successore Eugenio I. Benedetto IX, che Voltaire nel Dizionario filosofico indica come colui che «comperò e rivendette il pontificato», fu successore di Pietro in momenti distinti. Anche l’Enciclopedia Cattolica sottolinea che «non era affatto degno» per «l’altissimo ufficio a cui era chiamato»: troppo giovane, vita dissoluta, il 1° maggio 1045 «pubblicò un atto di abdicazione in favore del suo padrino Giovanni Graziano, che fu poi eletto e prese il nome di Gregorio VI» (The Oxford Dictionary of Popes). Ritornò poi ad essere pontefice nel novembre 1047, ma gli imperiali lo costrinsero nel luglio 1048 a cedere il trono a Damaso II, vicario di Cristo per una ventina di giorni. L’ultimo documento che ci resta di lui, una donazione del settembre 1055, lo chiama ancora Papa.
Celestino V, che abdicò il 13 dicembre 1294 (morì nel maggio 1296) leggendo dinanzi ai cardinali la formula della propria rinuncia, libera e spontanea, è l’unico degno paragone con Benedetto XVI. Canonizzato nel 1313, Dante lo pone nel III canto dell’Inferno: «Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,/ vidi e conobbi l’ombra di colui/ che fece per viltade il gran rifiuto» (versi 58-60). Ebbe fama di asceta, di guaritore miracoloso, il successore Bonifacio VIII lo fece porre sotto stretta vigilanza, anzi lo confinò nella torre di Castel Fumone a est di Ferentino. Aveva paura, e con validi motivi, che potesse diventare riferimento per uno scisma.
Si arriva a Gregorio XII. Anche in tal caso più che un’abdicazione c’è una deposizione. Nel 1406, dopo la morte di Innocenzo VII, per mettere fine allo scisma che durava dai giorni di Urbano VI (morto nel 1389), i cardinali riuniti in conclave si impegnarono a dimettersi in caso di elezione se così avesse fatto anche l’antipapa Benedetto XIII, sedente in Avignone; quest’ultimo giurò cosa analoga. Si arrivò invece, con il sinodo di Pisa (1409), all’elezione di un terzo Papa, Alessandro V. Gli altri due furono dichiarati scismatici, spergiuri ed eretici. Ma l’ultimo morì nel 1410 e subito fu proclamato Giovanni XXIII, poi deposto dal Concilio di Costanza, assemblea che avviò i negoziati con Gregorio: si dichiarò pronto ad abdicare. Nel luglio 1415 se ne andò. Visse sino al 1417.
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