Caso Ingroia, la stoccata del Csm

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ROMA — «Appare inevitabile la riforma del sistema delle incompatibilità  per i magistrati che si candidano per garantire la sostanza e l’apparenza dell’imparzialità  dell’istituzione», ammonisce il vicepresidente del Consiglio della Magistratura.
Michele Vietti, che aveva già  affrontato il tema all’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione, ha parlato al congresso di Magistratura democratica (la componente di sinistra delle toghe) e ha ribadito la sua contrarietà  rispetto a certi atteggiamenti disinvolti che trasformano, in poche settimane, giudici e pm in star della politica: «Comportamenti e scelte personali che, pur legittime sul piano formale, finiscono con l’appannare l’immagine di terzietà  e imparzialità  della giurisdizione». E parafrasando il presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, Vietti ha dunque richiamato i magistrati ad osservare i principi «dell’etica della responsabilità ».
A Vietti, poi, è stato chiesto un giudizio sull’uso che si fa in questa campagna elettorale della memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Pur non citando il caso di Antonio Ingroia, ex pm a Palermo ora leader di Rivoluzione civile che ha avuto un pesantissimo scambio di opinioni con il pm di Milano Ilda Boccassini, Vietti ha risposto lo stesso alla domanda: «Fare politica portandosi dietro la toga è un controsenso. Lasciamo fuori dalla campagna elettorale i magistrati, sia quelli vivi, sia quelli che hanno perso la vita per servire le istituzioni».
Per il secondo giorno consecutivo, dunque, al congresso di Magistratura democratica ha tenuto banco il tema dei giudici che scelgono di entrare in politica. Applauditissimo l’intervento di Luigi Ferrajoli, uno dei padri nobili di Md presente a tutti i congressi fin dal 1971, che ha usato parole assai critiche nei confronti di Ingroia, di Antonio Di Pietro e di Luigi de Magistris: i tre ex pm che ora si trovano uniti nella lista «Rivoluzione civile» insieme a Rifondazione comunista, Verdi e Partito comunista d’Italia.
Argomenta, dunque, Ferrajoli, il cui intervento è subito stato pubblicato sul sito di Md: «Oggi l’immagine della magistratura presso il grande pubblico rischia di identificarsi con quella di tre pubblici ministeri divenuti noti per le loro inchieste, i quali hanno dato vita a una lista capeggiata da uno di loro, promossa da un altro con il contributo del partito personale del terzo». Questa, incalza Ferrajoli, «è un’immagine deleteria che compromette la credibilità  della magistratura, oltre che delle stesse inchieste che hanno reso noti quei magistrati». Ferrajoli, poi, ha detto di condividere la proposta fatta dall’ex segretario di Md, Giuseppe Cascini, sulla non candidabilità  del magistrato nel luogo in cui ha esercitato le funzioni: «Forse, però, sarebbero opportune le dimissioni di chi si candida a funzioni pubbliche elettive: un onere che, se anche non stabilito dalla legge, dovrebbe oggi essere avvertito da qualunque magistrato come un dovere elementare di deontologia professionale».


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