Cardinali in clausura subito dopo l’arrivo la mossa della Curia per evitare sorprese

by Sergio Segio | 21 Febbraio 2013 7:45

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ROMA – Il centralino della Domus Sanctae Marthae, l’edificio che durante il conclave ospiterà  i cardinali elettori, suona in queste ore ripetutamente. Fra le 117 eminenze che entreranno in Sistina, infatti, si è diffusa la notizia che già  dal primo marzo le stanze della Domus potranno essere occupate e tutti si stanno organizzando per quello che suona come una sorta di “extra omnes” anticipato. Certo, soltanto quando il maestro delle cerimonie pontificie, in questo caso il fine liturgista di scuola ligure Guido Marini, chiamerà  il “fuori tutti” dalla Cappella Sistina, il contatto col mondo esterno non sarà  più possibile. Eppure, già  il fatto di risiedere in periodo di sede vacante nella Domus, in locali che la gendarmeria vaticana dai mesi di Vatileaks controlla con dovizia di mezzi, significa entrare in una clausura anticipata.
Benedetto XVI auspica conciliaboli discreti nei giorni che precedono il conclave. E così si augura il partito romano, i porporati di Curia che temono che un candidato outsider prenda il sopravvento e scompagini le carte. L’idea dei curiali è di portare al soglio di Pietro un candidato straniero, si fa con insistenza il nome dell’arcivescovo di Sydney, il cardinale George Pell, a cui affiancare un segretario di Stato italiano che garantisca continuità  con la gestione precedente. L’altra ipotesi, “sponsorizzata” invece maggiormente dai porporati della Mitteleuropa, è di spendersi per l’arcivescovo di Milano Angelo Scola – in suo favore sembrano orientati sia l’ex segretario particolare di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz, che l’arcivescovo di Vienna Christoph Schà¶nborn – seppure l’impresa appaia ardua principalmente a motivo dei suoi 71 anni.
In queste ore coloro che abitualmente sono ospiti della Sanctae Marthae sono stati invitati a trasferirsi nella Domus Romana Sacerdotalis di via della Traspontina, in fondo a via della Conciliazione. La gendarmeria vaticana, infatti, ha il compito di entrare nella residenza situata appena dietro il palazzo dell’ex Sant’Uffizio e occuparsi della bonifica di ogni ambiente e arredo presente: l’organo donato nel 1997 a Giovanni Paolo II dai Cavalieri di Colombo, la potente lobby statunitense molto considerata oltre il Tevere per le cospicue offerte che annualmente traghetta verso l’obolo di San Pietro; i baldacchini in ferro battuto dei letti dove i cardinali elettori dormiranno; fino ai salottini adiacenti ogni stanza, poltrone foderate e parquet in legno scuro. Molto i gendarmi avranno da lavorare per garantire – rete wireless inclusa – l’impossibilità  per i cardinali elettori di avere qualsiasi contatto col mondo esterno. Ma parecchio i gendarmi dovranno faticare per offrire ai padri conclavisti anche una garanzia di totale riservatezza dallo stesso apparato Vaticano, dai potenti mezzi di controllo posizionati su tutto il territorio dopo il furto dei documenti riservati ad opera dell’ex maggiordomo di camera papale Paolo Gabriele. Un lavoro da svolgere in tempi brevi e per facilitare il quale il governatorato vaticano ha predisposto la chiusura ai turisti (da lunedì) dell’accesso ai giardini vaticani, il cui consueto via vai è già  in queste ore reso problematico dal fatto che in troppi sostano incuriositi davanti al monastero che dietro la basilica vaticana andrà  a ospitare Benedetto XVI. Alla ristrutturazione del monastero, fra l’altro, sta lavorando una ditta esterna i cui lavori sono stati appaltati direttamente dalla segreteria di Stato fin dallo scorso dicembre, lavori che nei piani alti del palazzo apostolico si vuole far portare avanti lontano da occhi indiscreti.
Roma teme l’outsider. E in particolare l’ipotesi che la numerosa compagine nordamericana e latino americana trovi il tempo di coagularsi su un nome alieno dai giochi di potere romano. Non a caso, è già  a Roma il cardinale arcivescovo di Boston, Sean Patrick O’Malley. Cappuccino, ha ribaltato le sorti di una diocesi che con il suo predecessore, il cardinale Bernard Law, non era riuscita ad estirpare il cancro dei preti pedofili. O’Malley, come l’arcivescovo di New York Timothy Dolan, dovrebbe preferire per più tempo possibile un alloggio esterno alle mura leonine, in modo da potere discutere con maggiore libertà  su una scelta così delicata come è quella del 266esimo vescovo di Roma. In favore di discussioni più diluite nel tempo si è espresso anche l’arcivescovo di Parigi André Vingt-Trois. Anche lui a Roma è considerato un outsider. Non a caso fu uno dei primi, ai tempi di Vatileaks, a dire che la curia romana è una macchina vecchia di secoli e non è adatta al funzionamento della Chiesa di oggi.

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