Bersani, i grillini e l’astuzia del capo scout
Ha detto che «se saranno in parlamento» (in quel «se» si apprezza l’ottimismo) «ci sarà da fare uno scouting». Vale a dire, secondo l’auto traduzione dal bersanese, «bisognerà capire se intendono essere eterodiretti o partecipare senza vincoli di mandato». Un atteggiamento intelligente ma anche, a pochi giorni dal voto, un’inversione di marcia rispetto all’ostilità con la quale il partito democratico ha affrontato la novità dei 5 Stelle.
Il Pd ha replicato per tutta la campagna elettorale alle bordate del «capo» comico con la derisione e la sottovalutazione. Bersani però legge i sondaggi.
Quando si apriranno le nuove camere i (tanti) deputati e senatori del Movimento saranno ovviamente gli osservati speciali. Non solo per i prevedibili articoli di colore, interesserà capire come si schiereranno rispetto alla complicata maggioranza che già si annuncia. Se la nuova strategia dell’attenzione di Bersani mira a coinvolgere strutturalmente i 5 Stelle, o a sollecitare scissioni repentine sul voto di fiducia, probabilmente sbaglia. Nel parlamento siciliano e in tutti i consigli regionali o comunali dove i grillini sono entrati non si sono fatti scrupolo di votare a favore di maggioranze diverse, di centrosinistra come di centrodestra – ma di alleanze stabili non se ne parla. Però il segretario del Pd centra il punto quando si domanda quale rapporto la delegazione parlamentare grillina avrà con il «capo» (che tale si è dichiarato in ossequio alla legge elettorale) che in parlamento non ci sarà .
Grillo dà per certo che spunterà qualche «Scilipoti» anche tra i suoi (ma a chi pensa? Perché sull’argomento tiene a freno la sua provata capacità di sospettare?). Sa benissimo che tra lui e Casaleggio da una parte e gli eletti dal popolo dall’altra non mancheranno tensioni. La legge elettorale che ha tanto disprezzato in realtà gli è stata utilissima, perché è la sola che garantisce l’anonimato ai candidati: i voti al Movimento sono voti per Grillo, i fortunati si presenteranno poi. Però tutto questo non può bastare ad allontanare all’infinito il momento della verità , quando verrà al pettine il nodo di un movimento fondato sulla partecipazione e costruito sul messaggio autoritario. Grillo e Casaleggio hanno dimostrato di avere l’espulsione facile, sicuramente cadranno in tentazione anche con i parlamentari che dimostreranno autonomia di giudizio. Però non potranno strafare. Nella relazione tra il capo e il suo mitico «staff» che intenderanno garantirsi, il Movimento che chiederà di potersi fidare, e la delegazione di Palazzo che dovrà conservare almeno un po’ di libertà e credibilità , si giocherà il destino di questo esperimento. Comunque interessante.
È vero, come dice Bersani, che la questione in fondo è quella antica del rispetto della Costituzione, che all’articolo 67 ancora esclude il vincolo di mandato per i parlamentari. Però il segretario del Pd arriva tardi. Un po’ perché il suo partito in questi anni ha alimentato, assieme ad altri, la retorica del «ribaltone», cercando sempre nuovi strumenti per ingessare il parlamento a sostegno di governi decotti. Un po’ perché ha appena fatto firmare a tutti i suoi candidati, del Pd, di Sel e pure di Tabacci, un impegno a votare come deciderà la maggioranza del gruppo. D’accordo, l’ha fatto per allontanare il ricordo della litigiosa Unione. Però anche questo è un modo di ipotecare la coscienza dei deputati.
Se infine Bersani, in versione capo scout, sta pensando di pigiare le forze nuove grilline dentro l’ambito del gran disegno democratico con un po’ di quell’esperienza e astuzia di cui i suoi sono forti, se insomma vuol provare a cucinare alla bolognese l’inesperienza grillina, faccia attenzione. E si ricordi di quello che è successo nel parlamento siciliano, dove dovendo eleggere i vicepresidenti d’aula è stato il Pd a finire gabbato. A conquistare il posto è stato il rappresentante dei 5 Stelle. Perché c’è sempre qualcuno più imbranato, anche degli ultimi arrivati. E in genere sta nel Pd.
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