Animale uomo, rischio estinzione

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Immaginate due compagni di scuola, oggi affermati studiosi, che si rivedono dopo molti anni e iniziano un dialogo che si trasforma in un avvincente viaggio tra etologia e letteratura. Un viaggio che fa idealmente tappa in sei stazioni, dove i due divagano assieme sui rispettivi interessi e cercano, con la curiosità  che ha improntato le loro rispettive vite dedicate alla ricerca, analogie e differenze fra il mondo animale, il mondo dell’uomo e l’universo letterario. Le domande che nascono in questo intenso scambio epistolare non sempre hanno risposte. Spalancano, invece, nuovi interrogativi creando l’effetto di scatole cinesi. E il dialogo, che si nutre di racconti e citazioni letterarie ed esempio tratti dall’osservazione del mondo animale, si tramuta spesso in gioco, dialettica dal quale il lettore non riuscirà  a chiamarsi fuori.
L’uomo, i libri e gli altri animali (edito da il Mulino, pagine 240, 16) nasce dall’incontro di Remo Ceserani, uno dei maggiori studiosi di letteratura comparata, con l’etologo Danilo Mainardi. Come accade tra vecchi amici che si rivedono dopo un tempo memorabile è inevitabile che, innanzi tutto, essi si raccontino. Ed ecco, intervallate dalle acute analisi sul merlo di Palomar di Calvino o sulla teoria dell’uomo animale sociale di David Brooks, che diventerà  il discutibile manifesto di un nuovo umanesimo, affiorare spunti biografici finora sconosciuti dei nostri due studiosi. Nati negli anni Trenta e dunque protagonisti, non solo testimoni diretti, di una grande e rapidissima trasformazione culturale. Quella che Ceserani spiega riprendendo i concetti di «società  solida e liquida», introdotti dal filosofo e sociologo polacco Zygmunt Bauman per spiegare la postmodernità : il cambiamento epocale nei paesi industriali avanzati nella seconda metà  del Novecento.
L’ultima stazione del loro viaggio è Soresina, davanti alla scuola elementare dove Remo Ceserani e Danilo Mainardi si conobbero, bambini. Era il ’42, il futuro etologo era sfollato lì da Milano. Crescono insieme Danilo, al quale la sera il babbo leggeva i libri di Darwin al posto delle fiabe e Remo, nella grande casa dove non c’era distinzione tra la vita famigliare e lo studio fotografico del babbo. Innamorato degli animali già  allora il primo, divoratore di libri il secondo. E qui affrontano i temi della propensione della natura al travestimento, agli inganni, alla metamorfosi, delle strategie di trasformazione degli animali, riprese dai miti raccontati nelle Metamorfosi di Ovidio o dall’Alcyone di D’Annunzio.
E, ancora, s’interrogano sull’aggressività  nella specie uomo e nei paguri e nei granchi. Con la conclusione, qui sì possibile, che «le ataviche strategie utili in natura per evitare lo spargimento di sangue sono state nella nostra specie inattivate». Abbiamo perso anche gli istinti, cioè «le istruzioni genetiche per stare al mondo», concludevano in una dissertazione poco prima, «ma abbiamo sete di conoscenza». Perché ciò che ci differenzia dagli altri animali «è la straordinaria e unica capacità  di evoluzione culturale che abbiamo sviluppato».
Si entra nel vivo del metodo scientifico — «basarsi solo su fatti accertati, senza lasciarsi distrarre da fede, superstizione e tradizione» — che pone sullo stesso piano lo studioso della filogenesi (lo scienziato) e il filologo (umanista): il bello della ricerca, concludono Ceserani e Mainardi, è che «ci propone sempre nuove sfide e nuovi indizi». «Nella ricostruzione delle vicende storiche — spiega il letterato — ci sono ostacoli insuperabili. La filologia è costretta a dichiarare i propri limiti e accontentarsi di fare ipotesi». Ma è proprio questo limite che la apparenta alla scienza. «Raramente in campo scientifico sono state scoperte verità  assolute», controbatte l’etologo. Che, poi, racconta di quanto spiazzò i ricercatori di tutto il mondo il ritrovamento dell’Odontochelys, il più antico (per ora) fossile di tartaruga — Cina, 220 milioni di anni fa — che aveva un piastrone (a proteggere l’addome) ma non ancora il carapace intero.
Avevano scoperto, cammin facendo, nell’articolato scambio epistolare, quando Mainardi è nella laguna veneziana e Ceserani nella baia di San Francisco, di avere in comune molto più di quanto immaginavano. Il primo che lavora sui fenomeni, il secondo sulle parole che li descrivono, l’uno che ha come fonti primarie la natura e gli animali, l’altro i testi e le parole. La ricerca delle analogie tra due mondi solo apparentemente lontani comincia nella prima tappa con l’analisi di alcune parole chiave. Si parla così di comunicazione, da quella del mondo vegetale che sparge messaggi a non finire al vocalizzo dell’allocco, il fiero rapace notturno che popola i nostri boschi, «un suono trisillabo che fa così: huuuh- hu- huuuuuuuuuh», spiega Mainardi ricorrendo all’onomatopeica. E ancora si svelano le strategie degli inquilini non umani in città  per superare il sottofondo acustico urbano. Si parla di rituali biologici e di riti culturali. Poi verranno il riso, il sogno, il bacio, il senso della morte, l’insegnamento generato dalle «cure parentali». Non c’è bisogno, è la conclusione, di essere fanatici animalisti per sentirsi coinvolti in una battaglia per il riconoscimento dei diritti di altre specie non umane.
«La vita è un unico lungo episodio, irripetibile. L’uomo non è protagonista assoluto, è specie giovanissima e a rischio di estinzione, che sta facendo a processo evolutivo avanzatissimo la sua presumibilmente breve comparsata».
Dicono i paleontologi che nella storia della Terra si sono già  verificati cinque periodi di grave crisi. Quella che stiamo vivendo «è la sesta estinzione e l’abbiamo fabbricata noi. Solo salvando le altre specie e gli equilibri naturali potremo salvare noi stessi».


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