Ambrosoli chiede il voto ai montiani E la crescita di Ingroia agita il Pd
ROMA — Nel Pd torna a diffondersi l’antica sindrome del nemico a sinistra. Di quella sinistra, come ammoniva giorni fa Pier Luigi Bersani, che «rischia di far vincere la destra». Gli ultimi sondaggi confermano come Rivoluzione civile si stia consolidando a discapito di Sel, la forza che il leader democratico ha convintamente voluto dentro la coalizione. Antonio Ingroia incalza e mette in difficoltà i democratici, tanto che Massimo D’Alema lo accusa di aver rimesso in gioco Berlusconi. E in Lombardia è polemica sul candidato presidente Umberto Ambrosoli, che ha evocato lo scenario del voto disgiunto: e se gli elettori che sceglieranno Monti premier, alla Regione votassero per lui?
È il momento dei sospetti incrociati, dei patti segreti e dei presunti inciuci. Il primo a scagliarsi contro l’aspirante governatore di centrosinistra è Gabriele Albertini, convinto che non ci sarà alcun travaso di voti tra nazionale e regionale: «Ambrosoli si sbaglia di grosso… Capisco che si renda conto che qualcosa non funzioni nel gioioso tir da guerra che ha messo insieme per conquistare Palazzo Lombardia, ma non cerchi di emulare Bersani». Tra nazionale e regionale, spera Albertini, non ci sarà alcun travaso di voti.
Roberto Maroni si dice «sconcertato» da Ambrosoli, interpreta il suo appello come la prova di un accordo segreto tra Bersani e Monti e chiama l’avversario «avvocato inciucio», perché avrebbe imparato in fretta le regole della Prima Repubblica: «Fare finta di scontrarsi e poi fare accordi sottobanco». Cosa c’è di vero nelle accuse di Maroni? Nulla, assicura Maurizio Martina. Eppure il segretario regionale del Pd conferma la speranza che Ambrosoli riesca ad attrarre l’elettorato montiano, grazie anche «a una lista di sostegno formata da ex udc e personalità di area moderata, che si chiama Centro popolare lombardo e include persone che hanno guardato a Monti, ma sosterranno Ambrosoli». Le stesse persone che Albertini chiama, ironicamente, i «montiani della riserva indiana».
Sul fianco sinistro è Ingroia a infiammare gli animi. Insinua che Nichi Vendola stia «usando la coalizione del centrosinistra come un taxi, per superare lo sbarramento del 4 per cento» e avverte il leader di Sel: «Nichi, è troppo comodo fare l’anima bella dopo, quando Bersani chiuderà l’accordo con Monti. Poi ti avvicinerai a noi e ti risponderemo che dovevi pensarci prima…». Attacca Bersani e Grillo come «mestieranti della politica» e, anche lui, accusa il leader del Pd di aver stretto «un accordo sottobanco con Monti».
Ingroia pensa che il leader del Pd abbia deciso di fare un governo con Monti dopo le elezioni e per questo «non ha mai risposto» al suo appello per un patto di governo di centrosinistra, puntando invece su un accordo di desistenza: «La proposta diceva che noi dovevamo desistere e che un paio di senatori mascherati dovevano essere presentati nelle liste del Pd. Dico mascherati perché poi Bersani doveva dimostrare a Monti di non aver mai fatto un accordo con me…».
La rivelazione piomba sul Nazareno più come una provocazione. Stefano Fassina, responsabile Economia e candidato nel Lazio, conferma che «la presenza di Ingroia è competitiva su un pezzettino di area alla quale guarda anche Vendola», ma spiega che il Pd ha preferito costruire «un’alleanza credibile». Bersani non tirerà fuori consigli dal cilindro, non farà aperture a Ingroia né «operazioni politiciste», ma rilancerà sul programma. Davvero il Pd non è preoccupato per il calo di Vendola nei sondaggi e la corsa di Ingroia? «La preoccupazione è relativa — scaccia le ombre Fassina — Il modo migliore per affrontarla è non improvvisare soluzioni che ci farebbero perdere credibilità ».
Il senatore Stefano Ceccanti teme che sia tardi. Per lui Bersani avrebbe dovuto indire primarie di partito e non di coalizione, evitando così di allearsi con Vendola prima del voto: «Un partito come il nostro doveva accettare di avere il nemico a sinistra, perché così avrebbe preso i voti del centro». Meglio sarebbe stato, secondo Ceccanti, aprire a Vendola solo dopo il voto e intanto provare «a sfondare al centro», anche con l’aiuto di Matteo Renzi. «Una sorta di energetico», che per il sondaggista Nicola Piepoli potrebbe portare a Bersani un quattro per cento in più.
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