Al San Raffaele c’è ancora chi dice no

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MILANO. Camice bianco. Una fila di persone in attesa di avere un consulto. Non siamo in un ambulatorio. Siamo sotto una tenda nel piazzale dell’ospedale San Raffaele. I lavoratori sono in lotta da tre mesi e una settimana fa hanno votato no ad una proposta di accordo che prevedeva la decurtazione dello stipendio del 10% per «salvare» dal licenziamento 244 persone tra ausiliari, infermieri, tecnici e amministrativi. Un ricatto in stile Marchionne messo a punto dalla nuova gestione di Giuseppe Rotelli, il potente imprenditore della sanità  privata che ha rilevato l’ospedale dopo il clamoroso crac che ha chiuso nel peggiore dei modi l’era di don Luigi Verzè.
Modello Rotelli
Che cosa succederà  adesso? C’è chi ha paura di perdere il posto – le 244 lettere di licenziamento potrebbero partire da un giorno all’altro – e c’è chi non ha nessuna intenzione di mollare. Per difendere se stessi, i colleghi, ma anche l’ospedale e i suoi pazienti. Tutti però sono molto orgogliosi del loro lavoro e della loro lotta. Queste persone per anni sono state abituate a sentir parlare del san Raffaele solo in termini di eccellenza. Il top delle cure ospedaliere, della ricerca e dell’università . Poi improvvisamente il crac dell’impero di Don Verzè per investimenti megalomani che nulla avevano a che vedere con l’ospedale. E, come se non bastasse, le inchieste sulla sanità  che hanno coinvolto anche Formigoni. Infine, la newco per salvare il san Raffaele comprata da Rotelli che ha battuto anche la concorrenza del Vaticano. Adesso il nuovo padrone ha deciso di trattare questi lavoratori, che nonostante tutto e tutti hanno salvaguardato l’ospedale, come un costo di cui liberarsi. Uno shock. I lavoratori del San Raffaele, invece, stanno tenendo testa a Rotelli e la loro lotta è diventata cruciale e paradigmatica per tutto il comparto della sanità  privata. Se le pretese di Rotelli non passeranno qui, allora non passeranno anche altrove. Altrimenti al San Raffaele si creerà  un modello da esportare in molte altre realtà .
Dall’eccellenza al crac
Essere un simbolo è il destino di questo ospedale sin dalla sua nascita. La grande cupola sormontata dall’angelo voluta da don Verzè è un monumento alla sua storia. Da lassù si vede la torre con le antenne di Mediaset di Cologno Monzese. Un’immagine che da sola rende lo stretto rapporto che ha legato per anni don Luigi a Silvio Berlusconi. Un legame solido e proficuo per entrambi che ha cominciato a incrinarsi quando via Olgettina, l’indirizzo del San Raffaele, è diventata celebre per ben altri motivi. Qui abitavano le ragazze delle feste di Arcore. «Il vento sta cambiando», confessò allora Mario Cal, il vice di don Verzè che il 18 luglio del 2011, travolto dal fallimento, decise di togliersi la vita.
I medici, i professori e tutti i lavoratori scoprirono allora che don Luigi investiva in modo sconsiderato in Brasile e in Sardegna, spendeva per gli aerei privati e che l’ospedale – allora era una fondazione – usava il sistema delle sovrafatturazioni per creare fondi neri. Infine arrivò l’inchiesta su Pierangelo Daccò, il faccendiere amico di Formigoni che usava i suoi contatti in regione per fare avere 7 milioni di euro di finanziamenti della regione al san Raffaele, e poi pagava le vacanze al Celeste. L’ospedale, unico pezzo pregiato e sano del gruppo di don Verzè, venne messo all’asta dal tribunale fallimentare e divenne un grande affare. Giuseppe Rotelli, già  proprietario del gruppo San Donato (18 ospedali, 17 in Lombardia, uno in Emilia Romagna) – e primo azionista fuori dal patto di sindacato del Corriere della Sera – se lo comprò per 405 milioni costituendo il più grande gruppo della sanità  privata in Italia, il terzo in Europa. Ma tutto era cambiato, l’ospedale non aveva più solo il compito di curare e fare ricerca, e neppure quello di esaltare le benemerite opere terrene di un prete che si sentiva secondo solo al padre eterno, ma era un’azienda che deve fare profitto.
Un ricatto inaccettabile
Rotelli, dopo pochi mesi, cominciò ad attaccare i sindacati (qui i più forti sono Usb e Usi). Dichiarò un passivo di 65 milioni e per portare in pareggio i bilanci minacciò 244 licenziamenti nel «comparto», ovvero non tra medici e professori, ma in tutti gli altri settori. I lavoratori hanno reagito con la lotta. Le hanno provate tutte: hanno manifestato, fatto cortei, bloccato la tangenziali, due lavoratrici sono salite sul tetto dell’ospedale… Fino a due settimane fa, quando a Roma dopo 19 ore di trattativa è stato firmato un accordo che prevedeva di rinunciare ai licenziamenti in cambio di un taglio per un periodo indefinito del 10% di tutti gli stipendi, l’azzeramento di tutti gli accordi sindacali pregressi e il passaggio per tutti dal contratto pubblico al contratto della sanità  privata. Un vero e proprio ricatto. Le pressioni per far votare sì a quell’accordo sono state incredibili eppure i lavoratori l’hanno bocciato: 1.365 no contro 1.110 sì.
Paola Sclavi, sindacalista rsu della Cgil, quell’accordo l’ha firmato eppure è la prima a denunciarne i punti critici. «Si taglia sulle indennità , come per esempio le ore di lavoro di notte, non c’è un termine temporale chiaro al taglio degli stipendi e soprattutto non c’è l’impegno a non proporre più licenziamenti collettivi per il futuro. Inoltre il passaggio al contratto privato apre la strada ad una politica al ribasso che apre alla rincorsa del lavoro al più basso costo e che finirà  per allontanare i migliori e pregiudicare l’eccellenza dell’ospedale. Una specie di modello Marchionne, solo che qui non non facciamo auto, curiamo le persone». Perché firmare allora? «La Cgil non ha preso posizione a favore dell’accordo, ha lasciato libertà  di scelta ai lavoratori». Una scelta difficilissima.
Orgoglio e paura
Una signora sulla cinquantina si affaccia piuttosto dimessa al gazebo, non vuole che si faccia il suo nome: «Guarda che qui hanno votato no quelli che sanno già  di non essere licenziati, il mio ufficio è tutto in esubero, è facile fare i duri per chi non rischia…». E’ la solita storia di queste situazioni. Al San Raffaele aleggia come un fantasma il mitico «allegato b». Una bozza di piano dell’organico che senza fare nome e cognomi ipotizza i tagli di personale settore per settore. Risultato: nessuno sa chi potrebbero essere i destinatari delle lettere di licenziamento, i lavoratori si guardano in faccia chiedendosi, toccherà  a me o a te? Si fanno i conti, conteranno di più l’anzianità  o le esigenze organizzative, oppure i coefficienti familiari? La pistola è puntata contro tutti e nessuno, ed è questa snervante incertezza che preme come una clava sul futuro e sul presente dei lavoratori che i sindacati devono gestire. Il rischio che prevalga l’egoismo, che la logica del padrone spezzi il fronte e prevalga è sempre dietro l’angolo. Prima del voto i primari e i capi sala hanno spinto in tutti i modi i lavoratori a votare sì. E’ stato persino fatto circolare un volantino falso dell’Usb che diceva di votare sì, c’è chi giura di aver visto l’autista dell’amministratore delegato infilarlo nelle cassette delle lettere. Aldo, tecnico camice bianco non ci sta. «Prima di tutto per la nostra dignità , poi per i pazienti e per i colleghi di altri ospedali privati. Votare sì voleva dire cadere nella trappola e arrendersi, adesso noi ci difenderemo e continueremo a lottare». E Aldo rappresenta la maggioranza.
Sulla facciata dell’ospedale è appeso uno striscione gigante: «Tre soli esuberi: presidente, vice e amministratore delegato». Nel piazzale accanto alle tende dove dormono a turni gli occupanti del presidio, una lunga fila di lenzuola bianche. Ogni reparto scrive la sua voglia di non mollare. Ce n’è uno che unisce tutti: «Nessun voto per questa politica». Su questo piazzale, dopo mesi di lotta, sono pochi i politici che si sono fatti vedere, anche in campagna elettorale.
Incredibile, soprattutto per il centrosinistra e per il candidato Umberto Ambrosoli. Il San Raffaele è il simbolo del modello formigoniano, della commistione tra berlusconismo e un certo tipo di interpretare la fede e di intrecciarla agli affari. Qui si sta giocando una delle più decisive lotte sindacali del paese nell’interesse dei lavoratori e dei cittadini. E Ambrosoli, inspiegabilmente, non è a fianco di questi lavoratori. C’è invece la mamma di Sara. Dentro il gazebo Sara ha festeggiato il suo compleanno e ci sono ancora gli striscioni con disegnati gli orsetti e le lettere d’auguri. Un segno di vita e di futuro. «Lotto anche per lei, per il futuro di mia figlia, come lavoratrice, come cittadina e come paziente». Auguri. MILANO
Camice bianco. Una fila di persone in attesa di avere un consulto. Non siamo in un ambulatorio. Siamo sotto una tenda nel piazzale dell’ospedale San Raffaele. I lavoratori sono in lotta da tre mesi e una settimana fa hanno votato no ad una proposta di accordo che prevedeva la decurtazione dello stipendio del 10% per «salvare» dal licenziamento 244 persone tra ausiliari, infermieri, tecnici e amministrativi. Un ricatto in stile Marchionne messo a punto dalla nuova gestione di Giuseppe Rotelli, il potente imprenditore della sanità  privata che ha rilevato l’ospedale dopo il clamoroso crac che ha chiuso nel peggiore dei modi l’era di don Luigi Verzè.
Modello Rotelli
Che cosa succederà  adesso? C’è chi ha paura di perdere il posto – le 244 lettere di licenziamento potrebbero partire da un giorno all’altro – e c’è chi non ha nessuna intenzione di mollare. Per difendere se stessi, i colleghi, ma anche l’ospedale e i suoi pazienti. Tutti però sono molto orgogliosi del loro lavoro e della loro lotta. Queste persone per anni sono state abituate a sentir parlare del san Raffaele solo in termini di eccellenza. Il top delle cure ospedaliere, della ricerca e dell’università . Poi improvvisamente il crac dell’impero di Don Verzè per investimenti megalomani che nulla avevano a che vedere con l’ospedale. E, come se non bastasse, le inchieste sulla sanità  che hanno coinvolto anche Formigoni. Infine, la newco per salvare il san Raffaele comprata da Rotelli che ha battuto anche la concorrenza del Vaticano. Adesso il nuovo padrone ha deciso di trattare questi lavoratori, che nonostante tutto e tutti hanno salvaguardato l’ospedale, come un costo di cui liberarsi. Uno shock. I lavoratori del San Raffaele, invece, stanno tenendo testa a Rotelli e la loro lotta è diventata cruciale e paradigmatica per tutto il comparto della sanità  privata. Se le pretese di Rotelli non passeranno qui, allora non passeranno anche altrove. Altrimenti al San Raffaele si creerà  un modello da esportare in molte altre realtà .
Dall’eccellenza al crac
Essere un simbolo è il destino di questo ospedale sin dalla sua nascita. La grande cupola sormontata dall’angelo voluta da don Verzè è un monumento alla sua storia. Da lassù si vede la torre con le antenne di Mediaset di Cologno Monzese. Un’immagine che da sola rende lo stretto rapporto che ha legato per anni don Luigi a Silvio Berlusconi. Un legame solido e proficuo per entrambi che ha cominciato a incrinarsi quando via Olgettina, l’indirizzo del San Raffaele, è diventata celebre per ben altri motivi. Qui abitavano le ragazze delle feste di Arcore. «Il vento sta cambiando», confessò allora Mario Cal, il vice di don Verzè che il 18 luglio del 2011, travolto dal fallimento, decise di togliersi la vita.
I medici, i professori e tutti i lavoratori scoprirono allora che don Luigi investiva in modo sconsiderato in Brasile e in Sardegna, spendeva per gli aerei privati e che l’ospedale – allora era una fondazione – usava il sistema delle sovrafatturazioni per creare fondi neri. Infine arrivò l’inchiesta su Pierangelo Daccò, il faccendiere amico di Formigoni che usava i suoi contatti in regione per fare avere 7 milioni di euro di finanziamenti della regione al san Raffaele, e poi pagava le vacanze al Celeste. L’ospedale, unico pezzo pregiato e sano del gruppo di don Verzè, venne messo all’asta dal tribunale fallimentare e divenne un grande affare. Giuseppe Rotelli, già  proprietario del gruppo San Donato (18 ospedali, 17 in Lombardia, uno in Emilia Romagna) – e primo azionista fuori dal patto di sindacato del Corriere della Sera – se lo comprò per 405 milioni costituendo il più grande gruppo della sanità  privata in Italia, il terzo in Europa. Ma tutto era cambiato, l’ospedale non aveva più solo il compito di curare e fare ricerca, e neppure quello di esaltare le benemerite opere terrene di un prete che si sentiva secondo solo al padre eterno, ma era un’azienda che deve fare profitto.
Un ricatto inaccettabile
Rotelli, dopo pochi mesi, cominciò ad attaccare i sindacati (qui i più forti sono Usb e Usi). Dichiarò un passivo di 65 milioni e per portare in pareggio i bilanci minacciò 244 licenziamenti nel «comparto», ovvero non tra medici e professori, ma in tutti gli altri settori. I lavoratori hanno reagito con la lotta. Le hanno provate tutte: hanno manifestato, fatto cortei, bloccato la tangenziali, due lavoratrici sono salite sul tetto dell’ospedale… Fino a due settimane fa, quando a Roma dopo 19 ore di trattativa è stato firmato un accordo che prevedeva di rinunciare ai licenziamenti in cambio di un taglio per un periodo indefinito del 10% di tutti gli stipendi, l’azzeramento di tutti gli accordi sindacali pregressi e il passaggio per tutti dal contratto pubblico al contratto della sanità  privata. Un vero e proprio ricatto. Le pressioni per far votare sì a quell’accordo sono state incredibili eppure i lavoratori l’hanno bocciato: 1.365 no contro 1.110 sì.
Paola Sclavi, sindacalista rsu della Cgil, quell’accordo l’ha firmato eppure è la prima a denunciarne i punti critici. «Si taglia sulle indennità , come per esempio le ore di lavoro di notte, non c’è un termine temporale chiaro al taglio degli stipendi e soprattutto non c’è l’impegno a non proporre più licenziamenti collettivi per il futuro. Inoltre il passaggio al contratto privato apre la strada ad una politica al ribasso che apre alla rincorsa del lavoro al più basso costo e che finirà  per allontanare i migliori e pregiudicare l’eccellenza dell’ospedale. Una specie di modello Marchionne, solo che qui non non facciamo auto, curiamo le persone». Perché firmare allora? «La Cgil non ha preso posizione a favore dell’accordo, ha lasciato libertà  di scelta ai lavoratori». Una scelta difficilissima.
Orgoglio e paura
Una signora sulla cinquantina si affaccia piuttosto dimessa al gazebo, non vuole che si faccia il suo nome: «Guarda che qui hanno votato no quelli che sanno già  di non essere licenziati, il mio ufficio è tutto in esubero, è facile fare i duri per chi non rischia…». E’ la solita storia di queste situazioni. Al San Raffaele aleggia come un fantasma il mitico «allegato b». Una bozza di piano dell’organico che senza fare nome e cognomi ipotizza i tagli di personale settore per settore. Risultato: nessuno sa chi potrebbero essere i destinatari delle lettere di licenziamento, i lavoratori si guardano in faccia chiedendosi, toccherà  a me o a te? Si fanno i conti, conteranno di più l’anzianità  o le esigenze organizzative, oppure i coefficienti familiari? La pistola è puntata contro tutti e nessuno, ed è questa snervante incertezza che preme come una clava sul futuro e sul presente dei lavoratori che i sindacati devono gestire. Il rischio che prevalga l’egoismo, che la logica del padrone spezzi il fronte e prevalga è sempre dietro l’angolo. Prima del voto i primari e i capi sala hanno spinto in tutti i modi i lavoratori a votare sì. E’ stato persino fatto circolare un volantino falso dell’Usb che diceva di votare sì, c’è chi giura di aver visto l’autista dell’amministratore delegato infilarlo nelle cassette delle lettere. Aldo, tecnico camice bianco non ci sta. «Prima di tutto per la nostra dignità , poi per i pazienti e per i colleghi di altri ospedali privati. Votare sì voleva dire cadere nella trappola e arrendersi, adesso noi ci difenderemo e continueremo a lottare». E Aldo rappresenta la maggioranza.
Sulla facciata dell’ospedale è appeso uno striscione gigante: «Tre soli esuberi: presidente, vice e amministratore delegato». Nel piazzale accanto alle tende dove dormono a turni gli occupanti del presidio, una lunga fila di lenzuola bianche. Ogni reparto scrive la sua voglia di non mollare. Ce n’è uno che unisce tutti: «Nessun voto per questa politica». Su questo piazzale, dopo mesi di lotta, sono pochi i politici che si sono fatti vedere, anche in campagna elettorale.
Incredibile, soprattutto per il centrosinistra e per il candidato Umberto Ambrosoli. Il San Raffaele è il simbolo del modello formigoniano, della commistione tra berlusconismo e un certo tipo di interpretare la fede e di intrecciarla agli affari. Qui si sta giocando una delle più decisive lotte sindacali del paese nell’interesse dei lavoratori e dei cittadini. E Ambrosoli, inspiegabilmente, non è a fianco di questi lavoratori. C’è invece la mamma di Sara. Dentro il gazebo Sara ha festeggiato il suo compleanno e ci sono ancora gli striscioni con disegnati gli orsetti e le lettere d’auguri. Un segno di vita e di futuro. «Lotto anche per lei, per il futuro di mia figlia, come lavoratrice, come cittadina e come paziente». Auguri.


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