by Sergio Segio | 7 Febbraio 2013 8:21
Ahmadi Nejad infatti non ha dubbi sulle finalità reali del primo viaggio in Israele, in veste di presidente, che Barack Obama effettuerà a partire dal prossimo 20 marzo. L’obiettivo centrale della visita è fare il punto con Israele del quadro mediorientale dopo l’attacco in Siria compiuto dai caccia dello Stato ebraico e, soprattutto, dopo l’importante incontro sul nucleare iraniano del prossimo 26 febbraio in Kazakhistan del gruppo 5 +1, forse con la partecipazione di Teheran. L’eventuale fallimento di quel decisivo meeting di fatto aprirebbe la strada a qualsiasi scenario. Anche ad un’azione militare congiunta di Israele e Stati Uniti. Obama ne discuterà con Netanyahu e il presidente iraniano lo ha capito, da qui la sua rinnovata minaccia di una rappresaglia devastante.
A sostegno di questa tesi ci sono anche le dichiarazioni del capo di stato israeliano Shimon Peres. «Il presidente Obama ha messo in piedi una coalizione per prevenire la realizzazione di un Iran nucleare», ha detto Peres in occasione della sessione inaugurale della nuova Knesset. «La coalizione ha iniziato con una pressione diplomatica e sanzioni economiche ed è stato chiarito che non sono escluse altre iniziative fuori dal tavolo…Credo che il presidente degli Stati Uniti sia determinato a fare questo».
Certo nella visita di marzo sono previsti incontri anche con il presidente dell’Anp Abu Mazen – la leadership palestinese è spaccata tra chi culla la speranza che l’arrivo di Obama sblocchi la situazione paralizzata dal 2009 e chi non si fa illusioni sulle intenzioni del presidente Usa – ed i leader di Giordania, Turchia, Egitto ed Arabia saudita. Obama in Israele non viene per accorciare le differenze con Netanyahu o per riaffermare gli stretti rapporti tra Washington e Tel Aviv come ha scritto il New York Times. Di sicuro la questione israelo-palestinese non è al primo posto nell’agenda del viaggio. Il portavoce della Jay Carney non l’ha neppure menzionata. Il più chiaro di tutti è stato ieri mattina l’ambasciatore degli Stati Uniti a Tel Aviv, Dan Shapiro. Obama in Israele, ha spiegato in un’intervista radiofonica, vuole parlare degli sviluppi della crisi siriana, delle centrali nucleari dell’Iran e di «come impedire che Tehran si doti di armi atomiche» (l’Iran ha sempre negato di voler assemblare un ordigno nucleare). «Se è possibile ricorrere solo a mezzi diplomatici, a pressioni economiche e a sanzioni, tanto meglio. Altrimenti abbiamo anche una opzione militare», ha detto Shapira, escludendo peraltro che con l’annuncio della sua visita Obama cerchi di influenzare la composizione del futuro governo di Israele: ossia di costringere indirettamente il premier Benyamin Netanyahu a formare una coalizione in cui i partiti centristi abbiano un ruolo privilegiato.
In Israele una reazione positiva all’annuncio della visita è giunta dall’ex ministro degli esteri Tzipi Livni, leader del partito centrista «Ha-Tnua» che potrebbe entrare – dopo averlo escluso per mesi – nella coalizione guidata da Netanyahu assieme con un’altra formazione di centro, Yesh Atid di Yair Lapid. «Speriamo – ha detto Livni – che la visita di Obama serva a migliorare l’intesa con Netanyahu per rilanciare la pace». I dubbi sono forti tra i membri più indipendenti dell’esecutivo dell’Olp, come Hanan Ashrawi. «Qualsiasi iniziativa americana per avere successo deve necessariamente agire per porre fine all’occupazione israeliana dei Territori palestinesi», ha detto Ashrawi, «mantenere l’impunità di Israele e negando il diritto del popolo palestinese alla sovranità , libertà e dignità , è stato letale per il raggiungimento di una pace sostenibile e giusta. Ci aspettiamo quindi che la visita corregga gli errori del passato».
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