Viaggio nel nuovo Portogallo tra fasti rococò e teatri chiusi

by Sergio Segio | 21 Gennaio 2013 16:47

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Lisbona è tradizionalmente una città  malinconica, secondo i viaggiatori. Anche quando il cielo invernale rimane sereno. E quest’anno, secondo i titoloni dei giornali, almeno il 96 per cento della popolazione celebra in casa e in crisi i pranzi di Natale e di San Silvestro.

 I motivi della crisi appaiono evidenti, paragonando i fasti delle ricchezze trascorse, e ben testimoniate, concrete, già  in arrivo dalle colonie brasiliane e africane, e le desolate distese dell’agglomerato urbano, con chilometri e chilometri di abitazioni economiche per quasi tre milioni di abitanti senza più risorse coloniali. Basta infatti guardare, al Museo dei Cocchi, le tre sensazionali sfarzose carrozze dorate di un ambasciatore portoghese a Roma, presso il papa Albani, ai primi del Settecento. E poi, guardare gli edifici di alloggi, uscendo dalla capitale in qualsiasi direzione. La facoltosità  degli immensi monasteri si rivela già  nella smisuratezza degli spazi. Macché economie, malgrado il rococò. Altro che Carrosse d’Or, in Perù.

Un po’ di classismo può risultare ubiquo e ineluttabile, attraverso qualunque regime o rivoluzione, con o senza garofani. E naturalmente le feste natalizie possono risultare più o meno elusive o rivelatrici.
Qui però nei posti di lusso appare frequente osservar tavolate di figli e nipoti e pronipoti e comunque eredi, presiedute da vecchie o vecchiette autorevoli, detentrici evidenti di patrimoni cospicui fino all’ultimo, con tutte le intestazioni. Come a Roma, tuttavia, poche buste di negozi si possono scorgere nelle affollate vie dei saldi e degli sconti. Nei giovani poi, non si scorgono bei musetti come nelle strade nostrane, ma piuttosto addomi e culoni obesi e pingui: per i vecchi lombardi, “sbenfi”. Tra le ragazze, fronti alte e talora bombate come comò.
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Data la crisi, sono chiusi i teatri. Anche quelli famosi, d’opera, intitolati a sovrani qui celebri. Con ripercussioni sfavorevoli per un certo turismo, dunque. E anche certi cinema storici, benché classificati fra i monumenti, appaiono ristrutturati per code burocratiche previdenziali. Il turismo economico del «tutto compreso» dunque sfila generalmente fra i chiostri e i sepolcri d’epoca romanica, gotica, manuelina, maiolicata, cistercense. E i molti musei che con abbondante personale riescono a preservare ninnoli e relitti del fado, della farmacia, dell’archeologia, delle marionette, dei bimbi, dei tram… Naturalmente qui si visiteranno soprattutto i grandiosissimi musei della Marina e dell’Esercito, ricchissimi di apparecchi e documenti anche bizzarri e recenti, in ambienti illustri. Ma il Museu Nacional de Arte Antiga appare singolarmente vuoto, malgrado la vastità  e gli addetti, e nonostante il Bosch e il Dà¼rer e il Della Robbia, le arti portoghesi, i pezzi cinesi e indiani e africani, i talenti decorativi, una vasta mostra di Architettura Immaginaria (e ripensata, contaminata, concettuale, fantastica, eclettica, metaforica, eccetera…), con “micro” e “macro” retrospettive dalle collezioni locali.

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Anche il facoltoso Museo del ricchissimo Calouste Gulbenkian, nel suo vertiginoso eclettismo, si può considerare come un «comprotutto» (purché di qualità ), o come un indispensabile strumento e riferimento educativo e formativo per giovani o turisti alle prime esperienze generali, per niente specializzate. Dunque, in saloni attigui, pergamene miniate e vasi attici, Lalique, pendole, Pisanello, Corot,
comò, Watteau, surtout da grande tavola, Ghirlandaio, arazzi, rilegature, tappeti, Carpaccio, Turner, Sargent, oriente islamico, appliques, Millet, Renoir, Hubert Robert, Burne-Jones, Fantin-Latour… E una mostra sul Mare, nelle varie epoche e maniere e bonacce e tempeste: fra Guardi, Ingres, Claude Lorrain, Courbet, Klee, Monet nella proustiana Trouville, l’Infinito secondo Friedrich o magari De Chirico, i Miti fra le Burrasche e l’Effimero…

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Naturalmente, si va parecchio anche in giro. E non solo fra le migliaia di stanze e porte e finestre nel monastero votivo di Mafra (donde il
Memoriale del convento), con chilometri di marmi assortiti e screziati e importati, e smisurate biblioteche. Anche Sintra, poco lontana, appare méta
di turismi a buon mercato oggi di massa. Non più di mera evasione economica, come negli anni Trenta di Auden e Isherwood e Spender. Folle sempre più parsimoniose gremiscono il Palà¡cio Nacional, in piazza, ammirando in coro i soffitti stemmati, le cucine cuspidate, le piastrelle di azulejos giudicate mirabili dagli intenditori. Nonché il plafond dipinto con tante gazze, quando i sovrani erano ancora spenderecci e disponibili.
Malgrado le risorse, invece, può apparire come un guazzabuglio di pasticci “neo”, l’altro Palà¡cio Nacional, commissionato in cima a un colle panoramico a un architetto visionario tedesco da un re o reggente cattolico di Sassonia-Coburgo Gotha, consorte di quelle regine che nella fila dei nomi battesimali potevano vantare una Francesca d’Assisi e Saveria de’ Paoli oltre che Raffaella e Gonzaga e Braganza. Tutto ammucchiato ed eclettico, fra gotico e manuelino e moresco e barocco, poco prima dei castelli sfarzosi e mono-stilistici di Ludwig di Baviera; e interni affastellati di tende e fiocchi e frange e nappe e nastri e gale e pouf… Il trionfo del capitonné, e soprattutto del kitsch…
Però, da quei veroni e poggioli e barcacce, «che viste!».
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Coimbra sarà  adesso una tappa necessaria, come l’analoga Pavia universitaria nel secolo scorso, tra i Quaranta e i Cinquanta? Con le chiese romaniche presso le rive del Ticino? E canti sentimentali già  fuori moda, come «Mi sun el re Lutari – vegnù pel centenari», o «Guarda come quell’albero pende – e la barca la va, la va… – Se mi volevi bene, allor – me lo dovevi dir…».
Qui, fra chiostri e sepolcri e cappelle e Santa Casa e Misericordia e Santa Cruz e duomi vecchi o nuovi con mirabili effigi di Cristo e della Madonna e delle Undicimila Vergini, il gran cortile accademico può apparire dittatoriale e salazariano, secondo le definizioni storicistiche. E certamente appaiono come svolazzi di malaugurio le tonache nere degli studenti, senza nastri colorati come in quei gruppi spagnoli che si esibiscono un po’ professionali e un po’ goliardici. Una biblioteca sfarzosa e squisita di giuggiole barocche dorate, su modesto pagamento; e saloni cerimoniali piuttosto burocratici.
Ma non hanno bar o pizzerie, questi ammantellati? Bisogna scendere nella città  bassa, per gradini e scalini e viuzze, onde ritrovare qualche caffeuccio appiattato nelle piazzette segrete.

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