Una scia di sangue dal Mali fino all’ Algeria

by Sergio Segio | 19 Gennaio 2013 8:42

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PARIGI. L’intervento dell’esercito algerino sul sito di estrazione di gas di In Amenas è continuato ancora per tutta la giornata di ieri. In serata, la situazione restava confusa: secondo fonti algerine, sarebbero stati liberati 650 ostaggi, tra cui 100 stranieri, ma una trentina sarebbero dispersi e 7 ancora nelle mani dei rapitori (3 belgi, un americano, un britannico e 2 giapponesi). Algeri, che comunica con il contagocce, aveva fatto sapere nel pomeriggio che 18 rapitori e 12 ostaggi erano stati uccisi. Secondo la Reuters, ci sarebbero stati una quarantina di morti nell’assalto, 30 ostaggi e 11 islamisti, tra cui il capo del commando, Tahar Ben Chened e un salafita francese. A fine mattinata, il primo ministro francese, Jean-Marc Ayrault, aveva soltanto confermato che «vari ostaggi» erano morti nell’azione algerina, ma non aveva dato né il numero né la nazionalità . 
Secondo un islamista arrestato ieri dagli algerini, il gruppo degli assalitori sarebbe stato composto da 32 persone e ancora in serata tra i 7 e 10 rapitori erano ancora asserragliati nel sito gestito dalla Bp. Il sito è immenso, vivevano qui 2mila persone. L’assalto dell’esercito algerino ha sgombrato la zona residenziale, ma nella parte industriale l’intervento si è rivelato molto più complesso e lungo. Secondo il primo ministro dell’Eire, l’ostaggio irlandese liberato giovedì ha raccontato che alcuni sono stati obbligati a indossare delle cinture esplosive e che i rapitori cercavano gli stranieri. Per timore che i terroristi facciano esplodere il sito, come hanno minacciato, tutti gli impianti sono stati fermati ieri. 
C’è stato un tentativo di trattativa. I rapitori avrebbero chiesto uno scambio tra ostaggi e due prigionieri islamisti in carcere negli Usa, la pakistana Aafia Siddiqui e l’egiziano Omar Abdel Rahman. Ma gli Usa hanno rifiutato: «Non negoziamo con i terroristi». Il segretario alla difesa Usa, Panetta, ha affermato che «i terroristi devono sapere che non troveranno nessun rifugio né in Algeria, né nell’Africa del nord né da nessuna parte». 
La condanna del terrorismo è unanime nella comunità  internazionale, ma sulla scelta dell’Algeria di investire il sito, che si è tradotta in un bagno di sangue, le critiche sono cresciute ancora ieri. Algeri è criticata per aver deciso da sola di intervenire, senza informare nessuno. I contatti con l’estero sono tenuti ad Algeri dal primo ministro, Abdelmalek Sellal, e non dal presidente Bouteflika. Il ministro degli esteri, Mourad Medelci, ha ricevuto ieri gli ambasciatori di Usa, Francia, Gran Bretagna, Giappone, Austria, Norvegia, Canada e Unione europea, le nazionalità  degli ostaggi. David Cameron ha parlato al telefono con Barak Obama e ha rivelato di aver proposto ad Algeri dei negoziatori per risolvere la crisi in modo non violento. Ma l’Algeria ha poi scelto di agire senza interpellare nessuno: il potere attuale ad Algeri fonda la propria legittimità  proprio sulla lotta al terrorismo degli anni ’90 e ora si considera sfidato dalla spettacolare azione a In Amenans, nella zona dell’estrazione del gas e del petrolio, che dovrebbe essere la più sicura del paese. 
La Francia è stata la meno critica. Parigi ha bisogno dell’Algeria per l’operazione Serval in Mali. Ieri, gli islamisti sono stati respinti da Konna, mentre militari francesi e maliani combattevano ancora a Diabali, dove i ribelli si soo confusi con la popolazione. Per Ayrault, il «primo obiettivo» dell’intervento è stato raggiunto: impedire la caduta di Bamako nelle mani dei narco-terroristi. Adesso bisogna riconquistare il nord e permettere al Mali di ricostruire lo stato. La forza africana, poco per volta, prende corpo: la Misma (Missione di sostegno al Mali) potrebbe superare i 3300 militari. La Nigeria invia 1200 uomini (più dei 900 previsti). I soldati del Ciad sono già  sul posto. Burundi, Togo, Niger, Burkina, Senegal, Costa d’Avorio e Benin dovrebbero seguire. Ma ci vorranno ancora settimane prima che la forza africana sia pronta ad intervenire. A Washington, è venuta alla luce una certa irritazione nei confronti della precipitazione dei francesi, accusati di non aver informato gli alleati. Anche il Qatar ha definito «precipitoso» l’intervento francese. Angela Merkel, sollecitata, accoglierà  mercoledì prossimo il presidente del Benin, Thomas Boni Yayi, che è anche alla testa dell’Unione africana. In Francia l’unanimità  comincia a mostrare sempre più crepe. Ieri, Marine Le Pen ha accusato Ps e Ump di aver favorito il terrorismo con l’intervento in Libia. L’ex primo ministro, Dominique de Villepin, ha invitato a «cambiare strategia», a «non entrare in una logica di guerra contro il terrorismo, perché questo dà  uno statuto ai terroristi» e ha invitato a restare «nello stretto quadro delle risoluzioni Onu». La Francia, intanto, comincia a fare i conti: l’operazione in Mali dovrebbe costare 400mila euro al giorno. Il 29 gennaio ci sarà  ad Addis Abeba una conferenza dei donatori, la Ue darà  50 milioni di euro alla Misma. Per la Libia, la Francia aveva speso 368 milioni di euro (1,6 milioni al giorno), in Afghanistan 518 milioni nel 2011 e 492 nel 2012.
PARIGI
L’intervento dell’esercito algerino sul sito di estrazione di gas di In Amenas è continuato ancora per tutta la giornata di ieri. In serata, la situazione restava confusa: secondo fonti algerine, sarebbero stati liberati 650 ostaggi, tra cui 100 stranieri, ma una trentina sarebbero dispersi e 7 ancora nelle mani dei rapitori (3 belgi, un americano, un britannico e 2 giapponesi). Algeri, che comunica con il contagocce, aveva fatto sapere nel pomeriggio che 18 rapitori e 12 ostaggi erano stati uccisi. Secondo la Reuters, ci sarebbero stati una quarantina di morti nell’assalto, 30 ostaggi e 11 islamisti, tra cui il capo del commando, Tahar Ben Chened e un salafita francese. A fine mattinata, il primo ministro francese, Jean-Marc Ayrault, aveva soltanto confermato che «vari ostaggi» erano morti nell’azione algerina, ma non aveva dato né il numero né la nazionalità . 
Secondo un islamista arrestato ieri dagli algerini, il gruppo degli assalitori sarebbe stato composto da 32 persone e ancora in serata tra i 7 e 10 rapitori erano ancora asserragliati nel sito gestito dalla Bp. Il sito è immenso, vivevano qui 2mila persone. L’assalto dell’esercito algerino ha sgombrato la zona residenziale, ma nella parte industriale l’intervento si è rivelato molto più complesso e lungo. Secondo il primo ministro dell’Eire, l’ostaggio irlandese liberato giovedì ha raccontato che alcuni sono stati obbligati a indossare delle cinture esplosive e che i rapitori cercavano gli stranieri. Per timore che i terroristi facciano esplodere il sito, come hanno minacciato, tutti gli impianti sono stati fermati ieri. 
C’è stato un tentativo di trattativa. I rapitori avrebbero chiesto uno scambio tra ostaggi e due prigionieri islamisti in carcere negli Usa, la pakistana Aafia Siddiqui e l’egiziano Omar Abdel Rahman. Ma gli Usa hanno rifiutato: «Non negoziamo con i terroristi». Il segretario alla difesa Usa, Panetta, ha affermato che «i terroristi devono sapere che non troveranno nessun rifugio né in Algeria, né nell’Africa del nord né da nessuna parte». 
La condanna del terrorismo è unanime nella comunità  internazionale, ma sulla scelta dell’Algeria di investire il sito, che si è tradotta in un bagno di sangue, le critiche sono cresciute ancora ieri. Algeri è criticata per aver deciso da sola di intervenire, senza informare nessuno. I contatti con l’estero sono tenuti ad Algeri dal primo ministro, Abdelmalek Sellal, e non dal presidente Bouteflika. Il ministro degli esteri, Mourad Medelci, ha ricevuto ieri gli ambasciatori di Usa, Francia, Gran Bretagna, Giappone, Austria, Norvegia, Canada e Unione europea, le nazionalità  degli ostaggi. David Cameron ha parlato al telefono con Barak Obama e ha rivelato di aver proposto ad Algeri dei negoziatori per risolvere la crisi in modo non violento. Ma l’Algeria ha poi scelto di agire senza interpellare nessuno: il potere attuale ad Algeri fonda la propria legittimità  proprio sulla lotta al terrorismo degli anni ’90 e ora si considera sfidato dalla spettacolare azione a In Amenans, nella zona dell’estrazione del gas e del petrolio, che dovrebbe essere la più sicura del paese. 
La Francia è stata la meno critica. Parigi ha bisogno dell’Algeria per l’operazione Serval in Mali. Ieri, gli islamisti sono stati respinti da Konna, mentre militari francesi e maliani combattevano ancora a Diabali, dove i ribelli si soo confusi con la popolazione. Per Ayrault, il «primo obiettivo» dell’intervento è stato raggiunto: impedire la caduta di Bamako nelle mani dei narco-terroristi. Adesso bisogna riconquistare il nord e permettere al Mali di ricostruire lo stato. La forza africana, poco per volta, prende corpo: la Misma (Missione di sostegno al Mali) potrebbe superare i 3300 militari. La Nigeria invia 1200 uomini (più dei 900 previsti). I soldati del Ciad sono già  sul posto. Burundi, Togo, Niger, Burkina, Senegal, Costa d’Avorio e Benin dovrebbero seguire. Ma ci vorranno ancora settimane prima che la forza africana sia pronta ad intervenire. A Washington, è venuta alla luce una certa irritazione nei confronti della precipitazione dei francesi, accusati di non aver informato gli alleati. Anche il Qatar ha definito «precipitoso» l’intervento francese. Angela Merkel, sollecitata, accoglierà  mercoledì prossimo il presidente del Benin, Thomas Boni Yayi, che è anche alla testa dell’Unione africana. In Francia l’unanimità  comincia a mostrare sempre più crepe. Ieri, Marine Le Pen ha accusato Ps e Ump di aver favorito il terrorismo con l’intervento in Libia. L’ex primo ministro, Dominique de Villepin, ha invitato a «cambiare strategia», a «non entrare in una logica di guerra contro il terrorismo, perché questo dà  uno statuto ai terroristi» e ha invitato a restare «nello stretto quadro delle risoluzioni Onu». La Francia, intanto, comincia a fare i conti: l’operazione in Mali dovrebbe costare 400mila euro al giorno. Il 29 gennaio ci sarà  ad Addis Abeba una conferenza dei donatori, la Ue darà  50 milioni di euro alla Misma. Per la Libia, la Francia aveva speso 368 milioni di euro (1,6 milioni al giorno), in Afghanistan 518 milioni nel 2011 e 492 nel 2012.

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