Una regione che sta bene Servizi e aiuto alle fasce deboli

by Sergio Segio | 30 Gennaio 2013 8:33

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Lo stato di salute della sanità  in regione è abbastanza buono. Lo standard qualitativo, comparato alla situazione generale del Paese, pone l’Emilia Romagna, insieme ad altre aree del nord, fra le regioni in cui i servizi erogati sono fra i migliori, comparabili alla media dei paesi del nord Europa. Fra i dati che forniscono un quadro efficace quelli dei posti letto negli ospedali: 20.493 di cui il 22,4% nel privato, uno dei valori più bassi registrati in Italia. La spesa sanitaria pro capite nel 2011 è stata di 1.909 euro, a fronte della media nazionale di 1.833 euro. Altro dato che fa balzare in cima alle classifiche l’Emilia Romagna è il livello di «mobilità  attiva» pari al 14%, percentuale fra le più alte a livello nazionale. Infatti, il sistema sanitario emiliano è considerato un polo di attrazione per la qualità  dei servizi da parte della popolazione di altre regioni. E dunque, sull’andamento della spesa pro-capite, dal 2001 al 2010, la regione ha avuto un tasso di crescita medio del 3,4% contro il 3,6% a livello nazionale, questo tenendo conto anche dei costi sostenuti per le cure a persone provenienti da altre regioni. Nella sola azienda Usl di Bologna nel 2011 ci sono state più di 245.000 attività  di pronto soccorso e il 13,8% di ricoveri. Inoltre su oltre tre miliardi e mezzo di spesa complessiva per i servizi ospedalieri, la regione ha speso nel 2011 circa 335-340 milioni di euro per l’ospedaliero privato accreditato.
Oltre ai numeri positivi sull’attività  e la qualità  dei servizi, in Emilia-Romagna ci sono livelli integrativi di assistenza rispetto a quelli essenziali validi sul territorio nazionale, come l’attivazione del fondo regionale di non autosufficienza, l’estensione delle fasce di screening per la mammella e i servizi di odontoiatria per le popolazioni in condizione di fragilità  sociale. Da anni la regione integra il finanziamento nazionale con uno locale di 150 milioni, che garantirà  anche nel 2013, per riuscire a preservare il livello dei servizi. «Confermare questo finanziamento – spiega Carradori – significa riconoscere maggiore rilevanza al servizio sanitario regionale in un periodo di crisi economica e sociale. È in queste fasi che i servizi sanitari e i sistemi di welfare funzionano da ammortizzatori. È una scelta politica chiara per affermare che il welfare rappresenta una condizione di prosperità  e sviluppo». Questo non significa che non ci siano margini di miglioramento e punti deboli su cui lavorare. Ad esempio c’è da affrontare la questione della fragilità  sanitaria e sociale. Gli anziani sul territorio rappresentano circa il 26%, l’11-12% sono gli ultra settantacinquenni. «Le diseguaglianze nella salute non si sono ridotte – ammette Carradori – anzi in alcuni casi sono aumentate, la sanità  deve farsi carico di migliorare la capacità  di raggiungere le fasce svantaggiate di popolazione». Durante il terremoto, ad esempio, si è scoperto come «anche un sistema così potente come quello emiliano romagnolo – evidenzia Carradori – presenti delle fragilità . Molte persone non autosufficienti seguite da badanti che dopo il sisma, venendo meno il domicilio, sono tornate nei paesi di origine e le persone di cui si prendevano cura sono state istituzionalizzate».
La spesa sanitaria complessiva nel 2011 in Emilia Romagna è stata di 8 miliardi 518.000 milioni. Il finanziamento pubblico del servizio sanitario regionale è stato nel 2012 di 7 miliardi e 782 milioni di euro, per il 2013, tenendo conto dei tagli per la revisione di spesa, si ridurrà  di un totale di 260 milioni da contrastare con misure di organizzazione e programmazione per mantenere il sistema in equilibrio. Una sfida importante per il sistema emiliano romagnolo sarà  adeguarsi alle nuove tecnologie. Oggi per alcune procedure si può ricorrere a telediagnosi, telemedicina e home care. Il primo obiettivo della regione è la difesa dei servizi alla persona. Ad essere ritoccati saranno i sistemi amministrativi, tecnico professionali. Più aziende potrebbero condividere un unico servizio per la gestione del personale. Spesso il servizio sostiene costi da duplicazione di servizi. Queste misure consentiranno di affrontare anche la questione delle risorse umane «senza ricorrere ai licenziamenti, ma governando il turn over, evitando tagli lineari e interventi di macelleria sociale», precisa Carradori. Sugli 8 miliardi e mezzo di spese, aggiunge, «oltre uno e mezzo è destinato all’acquisto di servizi, beni, farmaci. Al 2014 non più del 15% degli acquisti rimarranno nelle singole aziende, l’85% saranno acquisti aggregati». Fra le questioni urgenti da risolvere anche quella delle liste di attesa, un problema che minaccia di acuire, invece che contrastare, le diseguaglianze nella salute che negli anni sono aumentate.

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