Un volto tatuato per la presidenza ceca. Con l’occhio a Bruxelles
Blu è il colore di queste elezioni. Quello rischiarato dalle stelle della bandiera europea che dopo il decennio di Và¡clav Klaus tornerà a sventolare sul castello di Praga. Quello striato di rosso e verde sul corpo del candidato presidente che sarebbe piaciuto a Và¡clav Havel, Vladimir Franz per gli amici «Avatar».
Oggi e domani i cechi votano nel primo turno delle presidenziali che inaugurano il nuovo corso del suffragio universale diretto. Insieme al papillon del principe-ministro Karel Schwarzenberg, i tatuaggi maori di Franz sono i tratti più scanzonati di questa tornata che chiude l’era del «Circo di Praga», come nei corridoi di Bruxelles era stato soprannominato l’approccio rudemente euroscettico della presidenza Klaus. Nei suoi due mandati consecutivi l’economista che da ministro delle Finanze e premier aveva firmato il successo delle liberalizzazioni anni Novanta, ha messo i principi cardine della transizione alla democrazia come liberalismo e sovranità nazionale al centro di una personalissima crociata contro gli euroburocrati «totalitari» paragonati ai funzionari dell’Urss. Sta per passare il testimone a un ex comunista. Gli ultimi sondaggi prevedono infatti una corsa a due tra Milos Zeman e Jan Fischer, entrambi iscritti al Partito nella Cecoslovacchia pre-1989. «Pentito» Fischer, il matematico 62enne che nel 2009-2010 ha guidato il governo tecnico d’emergenza dopo la caduta, in piena presidenza Ue, di Mirek Topolanek — il Topolanek desnudo delle foto a Villa Certosa. «M’iscrissi perché era l’unico modo di proseguire la carriera accademica», spiega. Più convinto il 68enne economista Zeman, espulso dai comunisti con la «normalizzazione» successiva alla Primavera del ’68 e padre del nuovo Partito socialdemocratico fondato dopo la Rivoluzione di velluto: il legame con ex esponenti della nomenklatura resta uno degli aspetti più controversi della sua parabola. Alleato di Klaus e primo ministro dal 1998 al 2002, torna in politica dopo un lungo autoesilio in campagna tra libri e Becherovka, il tipico liquore a base d’erbe, e chiede apertamente sostegno ai comunisti. Mantiene buoni rapporti con il Cremlino e in passato ha lavorato per il gigante russo del petrolio Lukoil: il capo del braccio ceco della compagnia figura tra i principali finanziatori della sua campagna. «Donazioni personali», taglia corto. Dopo una fulminea rimonta su Fischer, è il favorito. Si è detto pronto a riportare la bandiera Ue al Castello, in cambio di dimostrazioni concrete di solidarietà da parte di Bruxelles come gli attesi finanziamenti al canale Danubio-Oder-Elba.
Accreditato del 10% delle preferenze, l’irresistibile outsider 53enne Vladimir Franz potrebbe arrivare terzo ed essere l’ago della bilancia al probabile ballottaggio. Pittore e compositore raffinato, incarnazione di un assurdo giocoso, non riconosce autorità ai partiti tradizionali, è un idolo per i più giovani, piace trasversalmente ai cechi che hanno smarrito l’entusiasmo dei giorni dell’ingresso nella Ue (2004) e la fiducia nella politica istituzionale. Per partecipare all’ultimo dibattito tv ieri non ha assistito alla prima della sua «Guerra delle salamandre» ispirata all’omonimo romanzo antitotalitario di Karel Capek del 1936 e andata in scena al Teatro nazionale, il coronamento del sogno di una vita. Spiega il tatuaggio integrale come «l’espressione di una volontà libera e dell’immutabile decisione di essere me stesso». L’inesperienza non lo preoccupa: «Chi sa comporre sinfonie può imparare anche a fare politica, questione di pratica». Il mondo dell’arte, dice con accenti che riecheggiano quel «Potere dei senza potere» teorizzato dal drammaturgo presidente Havel, gli ha insegnato la cosa più importante, «a parlare in modo autentico».
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