Un popolo diviso in quattro stati

Loading

Una volta si diceva «questione kurda». Adesso sarebbe meglio derubricarla a una delle tante vicende irrisolte della geopolitica mondiale, soprattutto per quanto riguarda la Turchia che ospita la maggioranza dei trenta milioni di kurdi sparsi nel mondo. Un popolo senza patria, diviso su almeno altri quattro Stati (Iraq, Siria, Iran, Armenia), per non parlare di una diaspora antica in mezzo pianeta, alimentata negli ultimi anni da un’immigrazione dettata da ragioni politiche e miseria. La storia del movimento e delle sue battaglie è centenaria e anche piena di difficoltà , alleanze, tradimenti, compromessi. In tempi recenti, sono stati l’Iraq e la Turchia le aree dove maggiormente si è concentrata l’attenzione sulla «questione kurda», che in Iraq si è, almeno in parte, risolta.

La minoranza kurda in questi due Paesi è una realtà  importante: in Turchia costituisce il 18% della popolazione totale e in Iraq circa il 15% (stime da prendere con le molle). La diaspora conta circa un milione di persone. Se in Iran, dove i kurdi sono attorno al 4%, il problema si è risolto con una dura repressione, mettendo a tacere la guerriglia, il nuovo ordinamento federale di Bagdad prevede una regione kurda (la cui ampiezza è oggetto di negoziato) e a un kurdo è stata data la presidenza della repubblica, carica soprattutto onorifica. Favoriti dalle due guerre del Golfo, i kurdi iracheni hanno quantomeno visto terminare la buia stagione di Saddam, che negli anni ’80 attuò la più atroce repressione sull’indomita minoranza.In Siria, dove i kurdi sono adesso una parte del grande gioco nel Paese mediorientale (vedi articolo a fianco), se ne contano poco più di mezzo milione, soprattutto nel Nord, dove a lungo il Pkk ha avuto le sue basi operative fuori dai confini turchi. La Turchia, di fatto, è il maggior nodo della storia kurda che si è più volte intrecciata coi destini dell’Impero ottomano e con la nascita dell’attuale repubblica (con la tristissima parentesi del genocidio armeno in cui i turchi impiegarono milizie kurde). Benché esistano forme di protesta, esponenti politici, giornali e movimenti che non hanno fatto la scelta della lotta armata, il Pkk è ancora il vero protagonista. E con la scusa del Pkk, a timide aperture sono sempre seguite violente repressioni: arresti (anche di minorenni), chiusura di giornali, bavaglio alla protesta.

Prima «turchi di montagna» poi «turchi orientali», i kurdi si sono trovati dunque molto spesso a dover scegliere la strada della lotta armata, incarnata dal Partito dei lavoratori del Kurdistan di Abdullah à–calan, ora guidato da Murat Karayilan, fondato nel 1978 nel villaggio di Fis (ma la guerriglia era già  attiva) in nome di una sorta di nazionalismo kurdo socialista. Ankara e il Pkk, nella lista di gruppi terroristi in molti Paesi, negoziano ma le trattative falliscono regolarmente. Dopo il 2001 le cose peggiorano, tanto che i tentativi europei di affrontare la questione (nel 2000 a Strasburgo era stato invitato una rappresntante permanente del Kurdistan turco) si arenano rapidamente, anche per la capacità  di pressione della Turchia, non membro della Ue ma pur sempre partner strategico della Nato. Benché la storia di questi ultimi dieci anni sia costellata di dichiarazioni e passi in direzione del negoziato, la guerra tra i peshmerga e Ankara non è mai terminata. Gli episodi salienti sono storia recente: il 14 luglio del 2011, nell’imboscata più sanguinosa degli ultimi anni, il Pkk uccide 13 soldati nel Sudest della Turchia ferendone altri sette. La reazione dell’esercito turco è immediata. E quando il 25 luglio altri tre soldati vengono uccisi in un’imboscata nei pressi della cittadina di Omerli, Ankara mette a punto un piano clamoroso: in agosto, per la prima volta, manda oltre confine l’aviazione che sconfina nello spazio aereo iracheno per bombardare postazioni del Pkk.

Per tutta risposta, in settembre, il Pkk lancia un nuovo attacco a una stazione di polizia uccidendo cinque poliziotti e ferendone una decina. Nell’agosto del 2011 si diffonde la voce che Murat Karayilan sia stato arrestato in Iran e la notizia, smentita da Tehran e dal Pkk, fa sospettare agli americani legami tra la guerriglia e il regime iraniano. Nel 2009 del resto, il Dipartimento del Tesoro Usa aveva già  accusato il ledaer kurdo di essere un narcotrafficante.


Related Articles

Una telecamera? Solo tre minuti

Loading

Due blogger in sciopero della fame contro la nuova censura post-rivoluzionaria

MIGRANTI. L’IPOCRISIA DI QUEI LAGER MASCHERATI

Loading

Rinchiudere i migranti in campi da allestire sul territorio africano prima che affrontino la traversata verso l’Europa. Questo vuole l’Ue

La maledizione del secondo mandato che non perdona i presidenti americani

Loading

Gli scandali di Nixon, le bombe di Bush. Ma anche Washington finì da sconfitto  

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment