Trentasei pietre d’inciampo per un’arte della memoria

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La sua foga nello strappare via quel segno, però, resta un fatto simbolico: le pietre inserite nella strada di fronte ai palazzi delle famiglie deportate dall’artista tedesco Gunter Demnig non passano inosservate e sono una sorta di «monumento/monito» di grande impatto emotivo. Demnig sarà  a Roma il 14 e 15 gennaio per installare personalmente 36 Stolpersteine (pietre d’inciampo), in memoria di uomini e donne perseguitati e uccisi dai fascisti e dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Il tutto avverrà  in diversi municipi, si va dal centro storico a Parioli fino al Tuscolano passando per Prati e il Trionfale.
L’idea nacque nel 1993 quando, invitato a Colonia per una installazione sulla deportazione di cittadini rom e sinti, l’artista per testimoniare quella persecuzione poco conosciuta iniziò a collocare le sue «pietre d’inciampo» – di ottone lucente – sui marciapiedi prospiscienti le loro abitazioni. Vi incide nome e cognome, età  e luogo della deportazione e, quando conosciuta, la data della morte. E gli inquilini vengono avvertiti per lettera dal municipio e invitati a partecipare all’evento. Demnig ne ha sparpagliate circa 37mila, in varie città  tedesche e europee.
Il progetto è a cura di Adachiara Zevi che è al timone anche del progetto «Arte in memoria», la mostra internazionale che partecipa alla Giornata in ricordo della Shoah e si svolge ogni anno nell’area archeologica di Ostia antica (Sinagoga). Giunta alla sua settima edizione, verrà  inaugurata il 20 gennaio (fino al 13 aprile) e vedrà  le installazioni di Alice Cattaneo, Sigalit Landau, Hidetoshi Nagasawa e Michael Rakowitz. Delle precedenti rassegne, è rimasta una specie di collezione di opere contemporanee all’interno del sito archeologico (da Lewitt a Weinsten, Cabrita Reis e Liliana Moro).
La Sinagoga venne scoperta nel 1961 durante i lavori di costruzione della strada verso Fiumicino e durante le campagne di scavo sono stati rinvenuti diversi oggetti della ritualità  ebraica. È una delle più antiche testimonianze della diaspora e ha portato alla luce la multiculturalità  della Roma di quel tempo (siamo nella seconda metà  del I sec d.C.).
E le opere del 2013? Cattaneo propone una serie di ritagli di ferro che creano un passaggio sospeso e fluttuante, mentre Landau scolpisce e «consuma» un pezzo di marmo, svuotandolo. Il giapponese Nagasawa fa ruotare tre colonne fino a disegnare una stella di Davide e Rakowitz – erede per via materna di una tradizione irachena/ebraica/araba – ha collezionato per anni frammenti di Torah irachene per dar luogo a un deposito, un archivio che restituisse quella storia.


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