Torna lo spettro di Abu Ghraib

by Sergio Segio | 10 Gennaio 2013 8:49

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Nell’Iraq sunnita infiammato dalle nuove rivolte contro il regime di al Maliki torna lo spettro di Abu Ghraib. A riesumare il ricordo del famigerato carcere è la notizia diffusa ieri che l’agenzia di contractors Engility Holdings Inc., con sede in Virginia, ha versato 5 milioni e 280 mila dollari come forma di risarcimento delle torture inflitte a 71 ex prigionieri iracheni di Abu Ghraib e di altri centri di detenzione.
La famigerata prigione era diventata famosa per le orribili torture – prigionieri incappucciati, incatenati, tenuti al guinzaglio, sodomizzati – documentate da immagini riprese dagli stessi torturatori. Lo scandalo era scoppiato nel 2004 durante la campagna per la rielezione di George W. Bush. Non erano stati solo i soldati americani a torturare ma anche, soprattutto, i contractors. Il lavoro più sporco è stato spesso affidato a mercenari ben pagati.
Lo scandalo non aveva fermato i torturatori, infatti le accuse contro i mercenari si riferiscono al periodo che va dal 2003 al 2007. Sotto accusa è la L-3 Services inc., una sussidiaria della Engility holding, che aveva ottenuto un contratto da 450 milioni di dollari l’anno per fornire traduttori ai militari americani in Iraq. Nel 2006 erano 6mila i traduttori in servizio, ma il mestiere di interprete comprendeva ben altre mansioni, come ha spiegato Baher Amzy, il direttore del Center for constitutional rights che ha intentato la causa, iniziata nel 2008. «I contractor privati hanno giocato un ruolo nei peggiori abusi computi ad Abu Ghraib», ha detto Amzy.
Le torture denunciate sono terribili: gli ex detenuti erano sottoposti a finte esecuzioni con la pistola puntata alla tempia, sbattuti contro un muro finché non svenivano, tenuti nudi con mani e piedi incatenati e minacciati di stupro, picchiati, costretti a bere tanta acqua finché non vomitavano sangue, sodomizzati. Nel 2004 una inchiesta militare aveva verificato 44 casi di abusi commessi ad Abu Ghraib ma nessun contractor era stato denunciato e la L-3 services inc. aveva mantenuto i suoi contratti.
Ora la Engility è stata costretta a pagare per chiudere la causa e in estate finirà  sotto processo un’altra agenzia di contractors la Caci, accusata da quattro iracheni di torture durante gli interrogatori. La Caci per ora tuttavia non sembra intenzionata a risarcire gli iracheni.
È la prima volta che un’agenzia di contractor è costretta a un risarcimento per le proprie azioni criminali. Un precedente che potrebbe portare alla fine dell’impunità  per i mercenari che finora hanno agito al di fuori di qualsiasi legislazione. Ma il pagamento di un risarcimento non implica una condanna (anche penale) dei mercenari, che non vengono nemmeno identificati; e soprattutto non viene implicata la responsabilità  di chi li impiega, in questo caso l’Esercito americano. Del resto a godere dell’impunità  sono anche i militari che possono essere giudicati solo nel loro paese e raramente lo sono (vedi il caso Lozano). Le agenzie di mercenari impiegati nelle zone di guerra rivendicano la stessa immunità  di cui godono i militari.
Per quanto riguarda gli orrori commessi ad Abu Ghraib solo 11 soldati americani sono stati processati e condannati a pene lievi, l’ultimo è uscito dal carcere nell’agosto del 2011. Nel 2004 – subito dopo lo scandalo di Abu Ghraib – l’allora segretario alla difesa statunitense Donald Rumsfeld aveva dichiarato al Congresso che aveva trovato il modo per risarcire i detenuti iracheni che avevano subito «brutali abusi e crudeltà  per mano di alcuni membri delle forze armate degli Stati uniti». Ma non sono mai stati documentati pagamenti in risarcimento dei prigionieri di Abu Ghraib. Dai bilanci del dipartimento della difesa relativi agli anni che vanno dal 2003 al 2006, risulta solo il pagamento di 30,9 milioni di dollari a civili iracheni e afghani uccisi, feriti o danneggiati dalle forze della coalizione durante i combattimenti.
I risarcimenti non basterebbero comunque a risanare le ferite lasciate dall’occupazione in Iraq. Una guerra che ha sostituito un dittatore sunnita con un altro sciita. Il «nuovo dittatore» è infatti chiamato il premier Nuri al Maliki.
Lo scontro con i kurdi è per il momento congelato dalla malattia del presidente iracheno Jalal Talabani, mentre s’infiammano le province sunnite di Anbar, Salahidin e Niniveh. La protesta è contro un governo guidato da sciiti che discrimina i sunniti, anche incarcerandoli: 40-50mila sono i detenuti, 900 donne.
Gli iracheni hanno ripreso gli slogan delle rivolte arabe e chiedono al premier di andarsene. Parlando alla tv al Jazeera, Alaa Makki, capo di Iraqya (lo schieramento laico) in parlamento, ha detto che il governo ha «un’ultima chance per la riconciliazione». Ma il governo rifiuta il confronto.
Insieme allo spettro di Abu Ghraib torna il protagonismo di Falluja.

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