Toni sempre più tesi sovrastati dall’eco delle diffidenze europee
Sono tanti, sei, da rendere il confronto televisivo una sorta di lotteria resa quasi impossibile dai veti incrociati. Così, a livello di schieramenti le alleanze sono obbligate e forzate: a costo di riprodurre dopo il voto del 24 e 25 febbraio maggioranze che pongono i problemi di stabilità e di credibilità internazionale del passato. Il numero dei leader, invece, si è allargato, senza per questo riuscire a chiarire chi siano i veri candidati alla presidenza del Consiglio: a parte il Pd che punta su Pier Luigi Bersani ma teme un risultato in bilico al Senato.
È un’ingessatura del sistema che le altre liste tentano di bilanciare e rompere: a cominciare da quelle raccolte intorno al premier Mario Monti. Ma l’operazione appare tutta in salita: anche perché è in atto un’involuzione destinata ad accentuarsi; e a riconsegnare un’Italia postelettorale osservata di nuovo come una potenziale anomalia da tenere a distanza di sicurezza. Gli attacchi che ieri sono rimbalzati di nuovo dall’Europa contro la politica economica di Silvio Berlusconi, sanno dunque di riflesso condizionato.
Legittimano la reazione del centrodestra che parla di ingerenza e «intervento a gamba tesa», dopo le critiche che già avevano investito l’ex premier nei giorni scorsi per i giudizi sconcertanti sulle «cose buone» fatte dal fascismo di Benito Mussolini. Ma non si può neanche sottovalutare l’umore a dir poco diffidente che oltre confine accompagna la campagna elettorale italiana. E intravede come un incubo l’affermazione di maggioranze destinate a entrare in conflitto con un’Europa destinata a condizionare pesantemente le strategie di tutti gli Stati che ne fanno parte. Così, la riunione degli europarlamentari del Pdl decisa da Silvio Berlusconi per venerdì, per quanto programmata da tempo, rischia di trasformarsi in un coro ostile alle nuove critiche arrivate ieri dal commissario agli Affari economici e monetari, Olli Rehn.
Nei fatti, promette di radicalizzare una campagna elettorale giocata contro le istituzioni dell’Ue: un modo per riscrivere con sfumature più rosee la storia della fine del suo governo di centrodestra; per cementare un’alleanza con la Lega che contro Bruxelles tuona da tempo; e per mettere in difficoltà Mario Monti, additandolo come campione di una tecnocrazia elitaria e filotedesca, contro la quale scaricare l’impopolarità delle misure prese nell’ultimo anno e mezzo. Insomma, diventerebbe un pezzo coerente del tentativo di rimonta del Cavaliere. L’obiettivo del Pdl è di cancellare la tesi secondo la quale il suo governo si dimise nell’autunno del 2011 per evitare all’Italia il baratro finanziario. Solo così può scaricare la recessione sulla coalizione dei tecnici guidata da Monti: sebbene anche Berlusconi l’ abbia appoggiata.
Per questo, quando Rehn dichiara a freddo che l’economia italiana non è cresciuta per la pesante eredità lasciata dal Cavaliere, costringe il Pdl a reagire: al punto che l’ex ministro Renato Brunetta chiede le dimissioni del commissario, e il partito un intervento del presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso. Il timore degli avversari di Berlusconi è che l’attacco di Rehn, sia calcolato o no, favorisca il centrodestra. Un Bersani quasi piccato, che da tempo ironizza sul «guru di Monti» David Axelrod, in realtà alter ego del presidente Usa, Barack Obama, spiega che «la Commissione Ue non ha scoperto una gran novità » sui «dati rovinosi» attribuiti a Berlusconi. Monti tace. E oggi incontrerà Barroso in una cornice di imbarazzo generale e di silenzio ufficiale.
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