Tanto rumore per quasi nulla

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In fondo si stimano, hanno lavorato insieme, durante uno dei tanti drammatici, ma in genere vantaggiosi periodi di esilio dalla Rai di «Michele chi?». Potrebbero tornare a farlo, se fosse conveniente, per esempio dopo una vittoria del Pd alle elezioni. Per Santoro l’epopea del Cavaliere è stata una manna di share dal cielo, compreso ieri sera. Berlusconi ha lucrato un’intera avventura politica sui vizi di una sinistra parolaia e gonfia di sé, ma alla fine disponibile al compromesso, che Michele Santoro ha sempre incarnato, fin dalla gioventù nell’unione dei marxistileninisti, alla militanza nel Pci, alla carriera di tribuno televisivo.
In questi casi la domanda è chi sta fregando l’altro, una volta stabilito che tutti e due sono geniali nel fregare i seguaci. La risposta è nessuno. Berlusconi contro Santoro è un affare per i duellanti. Berlusconi ha bisogno di far notizia da qui alla vigilia del voto, altrimenti è politicamente morto. La sua formula politica è finita. Accettare la sfida in trasferta è un colpo da maestro. Santoro ha un parallelo bisogno di far notizia e di sopravvivere a una formula televisiva moribonda, il talk show. Per anni ha fatto notizia contro Berlusconi, ora l’unica possibilità  era di farla con Berlusconi.
La trasmissione parte come uno splendido campionario di repertorio dei duellanti. Santoro comincia con un pezzo classico, la disperazione di imprenditori
e operai nelle fabbriche dell’operoso Nord. La frase chiave è sempre: «La gente non riesce più ad arrivare alla fine del mese». Oggi è vera, ma siccome nei servizi delle samarcande la sentiamo ripetere uguale da venti anni, l’effetto si disperde. Manca pathos anche intorno al repertorio del Cavaliere. È sempre molto abile nell’arte di giustificare quanto non ha fatto al governo e nel promettere per il futuro quanto non farà . Ma ormai non esiste più il rischio che tanta brava gente possa credere alle sue panzane, com’è avvenuto per molto tempo. Di conseguenza, a guardarlo arrampicarsi sugli specchi, ci si arrabbia molto meno. Non ti prende più allo stomaco, lo osservi con sguardo sereno e annoiato, come vedere il mago Silvan che estrae il foulard dal cilindro. Toh, l’ha fatto ancora.
Poco incalzato dalle due simpatiche intervistatrici, Giulia Innocenzi e Luisella Costamagna, che tuttavia lo innervosiscono come tutte le donne normali, Berlusconi comunque se la cava bene. Per la duecentesima volta spiega nel dettaglio quanto sia pernicioso il sistema parlamentare voluto dalla nostra costituzione bolscevica e quanto sarebbe stato meglio per il Paese se gli italiani l’avessero eletto dittatore, invece di consegnargli per quindici anni sterminate ma inutili maggioranze.
Perfino Santoro capisce a questo punto che gli spettatori a casa, eccitati dagli spot stile corrida, si stanno ammazzando di pizzicotti e cala l’asso. La requisitoria di Marco Travaglio è al solito documentata e intelligente, ma nella circostanza appare rituale. Sarebbe stato più interessante se fosse stato lui a intervistare Berlusconi, vista l’occasione speciale. Archiviata la pratica, si torna al repertorio e l’ospite colma una vistosa lacuna con un’intemerata di maniera sulle tragedie del comunismo. Ci stavamo giusto domandando: e i comunisti?
La recita si trascina senza colpi di scena, a parte la stramba letterina anti-Travaglio di Berlusconi. Viene quasi il sospetto maligno che il canovaccio sia stato concordato. Per fortuna Santoro, nel battibecco finale sulle querele di Travaglio, spazza gli equivoci e chiarisce che era davvero concordato. «Avevamo preso l’accordo di non entrare nel dettaglio dei processi» rivela a sorpresa. Ricorda la celebre uscita di Violante in parlamento: «Eravamo d’accordo che una volta al governo non le avremmo toccato le aziende». Si chiude secondo copione, con le vignette di Vauro. Tanto rumore per quasi nulla, ma era prevedibile. La campagna elettorale è la più noiosa degli ultimi decenni, con un esito scontato, la vittoria del Pd e alleati. L’obiettivo massimo delle altre quattro coalizioni in campo, da Berlusconi a Monti, da Ingroia a Grillo, è cercare di impedire che il Pd ottenga una maggioranza al Senato, fosse pure per uno o due seggi. Se si realizzerà  questo grandioso progetto comune, favorito da una schifosa legge elettorale, ciascun gruppo di opposizione dal giorno dopo le elezioni potrà  trasformarsi in un nuovo Ghino di Tacco e contrattare posti con i vincitori. Non è esattamente come nel ’48 e si comprendono gli sforzi dei salotti della tele politica per drammatizzare l’evento. Finora è andata male, perfino nel big match di ieri sera. Chissà  se poi è finita col terzo tempo come nelle partite di rugby, con Berlusconi e Santoro a brindare insieme agli ascolti in trattoria.
«Lo vedi, là  c’è Marino…».


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