Stupro e femminicidio a New Delhi: ora tocca alla giustizia e alla società  civile

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Per il Christian Council l’India è ancora attraversata da una mentalità  che non garantisce “una vera dignità , autonomia e diritti per bambine, ragazze e donne”. Secondo John Dayal, segretario generale dell’Aicc, “per troppo tempo abbiamo ammesso una cultura che prende di mira le nostre donne e giustifica varie forme di violenza contro di esse”. Il cardinale Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana e arcivescovo di Mumbai, ha affermato che lo stupro di New Delhi è “un esempio del malessere della società  indiana”, che “riflette il più profondo disprezzo per le donne”, esercitato anche in molte forme visto che negli ultimi anni episodi criminali e discriminatori contro bambine, adolescenti e donne adulte sono aumentati: oltre agli stupri (uno ogni 20 minuti circa in tutto il Paese secondo il National Crime Records Bureau), anche aborti selettivi e feticidi femminili, oltre a emarginazione e penalizzazione di genere nel mondo dello studio e del lavoro.

Il caso di stupro ha però questa volta scatenato forti reazioni in tutto il Paese che si ripetono dal giorno seguente l’aggressione, anche se in un’intervista rilasciata all’emittente tv indiana Zee News (ora sotto inchiesta per non aver oscurato il volto del testimone rendendo possibile l’identificazione pubblica della ragazza in violazione dalla legge indiana sugli abusi sessuali), l’amico della vittima e unico testimone dell’accaduto racconta una profonda indifferenza proprio da parte della comunità : “La gente che passava, in auto o in bicicletta, si voltava verso di noi, ci vedeva nudi a terra, e proseguiva. Nessuno, nessuno si è fermato per aiutarci e solo dopo 30 minuti sono arrivati dei poliziotti, ma hanno aspettato altro tempo prima di chiamare l’ambulanza, per decidere a quale stazione appartenesse il caso”.

Anche per questo il giudice Kabir ha espresso a più riprese “cautela e auto-critica” riguardo le manifestazioni della società  civile, a tratti violente. “Anche se è un bene – ha dichiarato – che la gente abbia deciso di alzare la voce contro crimini del genere”, è giusto “non lasciarsi trasportare da sentimenti pericolosi” e “invocare una giustizia fai-da-te” visto che se dovessero essere riconosciuti colpevoli, di sequestro di persona, stupro ed omicidio cinque dei sei imputati rischiano la pena di morte. Per questo quello che giudicherà  cinque dei sei accusati del crimine nelle prossime settimane sarà  un processo a porte chiuse per direttissima, mentre il sesto arrestato, un ragazzo di 17 anni, verrà  processato in un tribunale minorile. Lo ha ordinato il 7 gennaio il giudice della corte di Saket, dove ha sede il processo, dopo che una folla di persone ha fatto irruzione in aula, dove per la prima volta avrebbero dovuto comparire gli imputati, impedendo il regolare svolgimento dell’udienza. Ad aggravare la situazione, anche un litigio tra alcuni avvocati, che hanno aggredito verbalmente un loro collega, dichiaratosi disposto a difendere i cinque. Qualche giorno fa, infatti, l’associazione legale del distretto di Saket aveva stabilito che nessuno dei suoi membri avrebbe assunto la difesa degli accusati.

Su questo punto anche il Dalai Lama, leader del buddismo tibetano ha espresso profondo dolore e preoccupazione per quanto accaduto a New Delhi, sia per “la degenerazione dei valori morali della società ” sia per l’indispensabile salvaguardia “di un patrimonio civile e culturale indiano come quello della nonviolenza [ahimsa], che non deve andare perduto”.

Intanto, mentre a quanto riferisce la Bbc nella nuova udienza dei giovedì scorso due degli imputati hanno 
accettato di collaborare dichiarandosi innocenti, un nuovo caso scuote la socierà  indiana: quattro poliziotti sono stati sospesi e un altro è stato trasferito, in relazione alla cattiva gestione di un caso di stupro e femminicidio in un sobborgo della capitale indiana. La vittima è una ragazza di 21 anni, operaia di una fabbrica di Noida, che risultava scomparsa da giorni nonostante la tempestiva denuncia da parte del Padre.

“Questi – ha concluso il giudice Kabir – non sono crimini contro il corpo, ma contro l’anima di una persona. Anche per questo bisogna garantire la giustizia, ma in modo trasparente e rapido, affinché la gente creda di nuovo che la magistratura sostiene l’uomo comune”. Ora il nome della ragazza reso pubblico domenica scorsa dall’edizione della domenica del Daily Mirror potrebbe diventare “legge” . “Voglio che mia figlia sia ricordata come una persona che potrebbe portare un cambiamento nella società  e nelle leggi, e non come una vittima di un orribile crimine”, ha sottolineato il padre, per questo “non avrei obiezioni se il Governo decidesse di dare il nome di mia figlia a una nuova legge sui crimini contro le donne che sia più dura di quella esistente”.

Le proposte di legge non mancano, oltre alla pena di morte, alla castrazione chimica e alle pericolose liste pubbliche con i nomi dei colpevoli di reati sessuali in questi giorni si è ipotizzata anche la ridicola proposta del “soprabito anti stupri”, tutte soluzioni che per l’All India Christian Council “non affrontano tutti quei fattori sociali, culturali e psicologici che spingono un uomo allo stupro” e non pongono l’accento su una piaga culturale esclusivamente maschile. Intanto il prossimo 27 gennaio nell’arcidiocesi di Mumbai si terrà  una Giornata di solidarietà  per la giustizia, la sensibilizzazione e l’uguaglianza di genere, voluta dal cardinale Gracias nella speranza che la Giornata possa “annunciare una trasformazione sociale”.

Alessandro Graziadei


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