Sorpresa in Israele Arretra la destra Exploit dei centristi

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GERUSALEMME — A metà  pomeriggio Benjamin Netanyahu comincia a sudare e scrive un messaggio a penna che diffonde via Facebook (in foto): «Mollate tutto e uscite a votare adesso». L’affluenza delle prime ore è la più alta dal 1999, quando Bibi aveva perso contro il laburista Ehud Barak. Non un buon presagio per il primo ministro. Che alla fine si ritrova — almeno secondo le proiezioni — con un partito rimpicciolito, malgrado l’alleanza elettorale del Likud con l’ultranazionalista Avigdor Lieberman: insieme avrebbero perso 11 seggi, restano sopra i 30. «Abbiamo vinto, ringrazio gli elettori» si affretta a esultare e ripete che «la prima sfida è impedire l’atomica iraniana».
Le ironie su Internet («non ha un diploma e vuole diventare ministro dell’Educazione») non intaccano la popolarità  televisiva di Yair Lapid. Come il padre Tommy prima di lui, è la sorpresa di queste elezioni, conquisterebbe il secondo posto e può essere il sostegno che serve a Netanyahu per formare una coalizione meno oltranzista da presentare al mondo e soprattutto al presidente americano Barack Obama. Il premier gli ha già  telefonato: «Io e te possiamo fare grandi cose per Israele, c’è bisogno di un governo il più largo possibile».
Con pochi slogan non ideologici il suo Yesh Atid (C’è un futuro) ha convinto la classe media, il 20 per cento di giovani e donne indecisi fino all’ultimo: quelli che fanno il servizio militare e vogliono che lo facciano tutti (compresi gli ultraortodossi), quelli che pensano di essere i soli a pagare le tasse e non si preoccupano troppo di che cosa succeda in Cisgiordania. «Netanyahu colpiva gli avversari alla sua destra, mentre Lapid gli portava via i voti al centro», scrive su twitter Aluf Benn, direttore del quotidiano Haaretz.
«Queste elezioni sono ancora influenzate dalle proteste sociali di due anni fa», commenta Amir Mizroch, direttore dell’edizione inglese del giornale Yisrael Hayom. Durante la campagna elettorale Shelly Yachimovich, l’ex giornalista tv diventata leader dei laburisti, ha parlato poco dei palestinesi e molto dei prezzi delle case. Avrebbe guadagnato il terzo posto e Meretz, ancora più a sinistra, avrebbe raddoppiato i seggi. Tzipi Livni non ottiene con il Movimento il risultato sperato, ma Kadima — che aveva fondato assieme ad Ariel Sharon e poi abbandonato — stenta a superare la soglia per entrare in parlamento.
Naftali Bennett vota al mattino presto nel sobborgo benestante di Raanana, esce dal seggio e intona Hatikva, l’inno nazionale (da giovane ha scritto le parole militaresche per quello della sua unità  speciale, il Maglan). Milionario hi-tech che indossa la kippah all’uncinetto dei sionisti religiosi e dei coloni, paragona la chiusura dei seggi alla Neilah, la preghiera che conclude lo Yom Kippur e «ti fa capire se hai davanti un anno buono o cattivo». Le proiezioni promettono al suo Focolare Ebraico meno di quel che si aspettava: 12 seggi.
Se la forza di Netanyahu — quella sbandierata dal suo slogan elettorale — sembra venire ridimensionata, resta l’impronta politica che sta lasciando sul Paese da quando è stato nominato per la prima volta alla guida del Likud nel 1993. Dalla sua squadra sono usciti in questi vent’anni (dopo aver litigato con lui e la moglie Sara) tre fedeli assistenti che hanno fondato partiti significativi.
Lieberman (suo capo di gabinetto durante il primo mandato) ha creato Yisrael Beitenu fino a diventare ministro degli Esteri di nuovo sotto Bibi, Naftali Bennett e Ayelet Shaked si sono spostati a destra, dopo aver aiutato Netanyahu a far riemergere il Likud. Rappresentano i commilitoni più probabili del suo terzo giro da premier. Le trattative sono già  cominciate ma tocca al presidente Shimon Peres decidere chi riceverà  l’incarico.


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