Scandalo derivati Mps, Mussari lascia l’Abi

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MILANO — La bomba derivati scoppia in faccia a Giuseppe Mussari, leader di Mps nella decade Duemila che ieri s’è dimesso dalla presidenza Abi. La sua lettera, rivolta in serata al vicario nell’associazione Camillo Venesio, è un atto irrevocabile. E sacrosanto, non tanto per la presunzione di colpevolezza – tempo e indagini diranno – quanto per l’opportunità  che a rappresentare le banche italiane in un momento simile stia il dominus di tutte le scelte che hanno portato verso zero la banca più antica del mondo. «Assumo la decisione convinto di aver sempre operato nel rispetto dell’ordinamento – ha scritto l’avvocato calabrese – ma nello stesso tempo deciso a non recare alcun nocumento, anche indiretto, all’Abi. In questi tre anni ho cercato di servirla mettendo a disposizione tutte le energie fisiche e intellettuali di cui disponevo. Rappresentare le banche in Italia nell’interesse generale del paese è stato per me un grande onore».
Dopo un biennio Mussari era stato confermato in Abi a metà  2012, con l’informale – e isolata perplessità  di Giovanni Bazoli, che temeva l’onda lunga di inchieste e polemiche su di lui – rinviato a giudizio per turbativa d’asta sull’aeroporto senese – e sulla banca che ha presieduto dal 2006 al 2012, dopo cinque anni a capo della fondazione Mps. Il legale del Palio, con ottime entrature nel Pd e in tutta la classe dirigente del paese, già  da mesi è ricordato per la frase «fare il banchiere non è il mio lavoro, tornerò a fare l’avvocato», con cui uscì di scena quando Mps era già  un cavallo scosso. L’ultimo errore, fatale, è legato ai contratti strutturati con cui Mps allontanava al futuro perdite esplose un anno fa, ma in corso da tempo. La stessa banca, che potrebbe rivalersi contro di lui, ha ammesso che 500 milioni in più di prestito pubblico serviranno a coprire alcuni derivati. E quando divampa la crisi dei debiti sovrani Mps ha 25 miliardi di Btp in pancia, tre volte il patrimonio contro una media banche italiane di 1,2. Non è chiaro il perché – anche la procura senese lo indaga -, forse è un altro rimedio per coprire la scarsa redditività  degli sportelli. Comunque ne viene un aumento sanguinoso per Mps, l’azzeramento del patrimonio dell’ente socio e la richiesta di 3,9 miliardi di Monti bond per soddisfare i requisiti Eba. Ma l’errore originale, l’incipit che guasta tutta la storia senese (con finale da trovare) risale al 2007, quando Mussari congegnò l’acquisizione di Antonveneta pagando in contanti 9,5 miliardi, 3 più di quanto l’aveva valutata Santander tre mesi prima.
Quanto all’Abi decapitata, tocca ai banchieri “piccoli”, per il metodo dell’alternanza. Le deleghe passano a Venesio, che pare favorito alla presidenza ma non è detto sia disponibile (ha un ruolo attivo nel gestire Banca del Piemonte). Altri papabili sono Antonio Patuelli (Acri) e Alessandro Azzi (Bcc). Non c’è un minuto da perdere, vanno difese le banche dagli strali del Fondo monetario, giunto lunedì in ispezione nella Penisola e che ritiene le coperture del cattivo credito in Italia inferiori alla disastrata Spagna. «Metodi di calcolo diversi», replica con sdegno l’Abi.


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