Riscoprire la calligrafia
Approfitto di una lunga vacanza terapeutica in prossimità di un mare inodoro per tentare di migliorare la mia grafia manuale, con l’aiuto di un libretto che a dirlo aureo lo si segnala debolmente. Ecco qua: Scrivere meglio, edito da Stampa Alternativa & Graffiti nel 1998, autori Francesco Ascoli e Giovanni de Faccio, calligrafi. Quattordici anni fa appena, ma tra la sopravvivente comunicazione chirografica e l’uniformazione tecnologica totalitaria in atto, la distanza è già , irreparabilmente, senza misura. Come tardivo rimedio, cercate il prezioso volume sulle vie elettroniche (dai librai, figuriamoci) oppure richiedetelo a Archie Pavia, il recuperatore di «Novecento di Carta», in via Acqui 9 bis Roma, che vi trova tutto; mentre l’indirizzo mancante dell’Editrice ve lo surroga quello dell’Associazione Calligrafica Italiana, via Giannone 4 Milano, che dubito esista ancora. Pubblicava una rivista «Calligrafia» di cui possiedo un paio di numeri soltanto, ma chissà , buttiamo i dadi, se me ne arrivasse qualcosa?
Primo uso di Scrivere meglio: trarne istruzioni per rieducare i bambini in età scolare, stravolti, stuprati prematuramente da «compiuter» e telefonino e che gli sia vietato l’accesso alle morbosità digitali degli adulti. Imparare a scrivere una elegante d curvata e un riuscito accoppiamento di una doppia t, è molto meglio di un superbo videogioco d’abbrutimento. Mi ci sono messo perché, come per l’amore e il desiderio, per imparare a scrivere meglio l’età non conta. Io ho l’età di Fidel Castro, con la stilo a cartuccia avrò scritto più di diecimila lettere, eppure nel manuale Ascoli-de Faccio ho una quantità di grafie da invidiare e sperimentare. Godo anche della consulenza dell’amico svizzero Orio Galli, grafico satirico eccelso, che tiene corsi di scrittura per adulti dealfabetizzati in Ticino.
Tuttavia, a diciotto anni, nel 1945, diplomato in stenodattilografia, battevo accanitamente su più tastiere con nove-dieci dita; con meno dita e velocità calante batto ancora libri e articoli su portatile, e la faccenda dura da sessantasette anni. (Lutero mi presti il suo Ich kahn nich anders di Worms). Dalla prima Remington all’ultimo resto in lire, la scrittura meccanizzata su portatili ed elettriche è stata via via obbligatoria dovunque, anche nelle tende dei Tuaregh, con il suo popolo di adorabili dattilografe, paesaggio sonoro del XX secolo migliore della sega elettrica e del trapano del dentista.
Finché arrivò l’ordine perentorio dall’Occulto: Alt! Nelle generazioni industriali la fretta del cambiamento è sempre più forsennata. Nell’ignoranza del buono, si schiantano una dopo l’altra contro l’utopia del meglio. Non contano più neppure il trascorrere di un anno, di un mezzo anno. La durata media di ciascuna è l’età delle meduse. Oggi l’estensione del predominio elettronico è capillarmente quella del pianeta insieme ai suoi satelliti artificiali, e in questo Maelstrom di Poe vorticano tutto ciò che è stampa, lettura, scrittura, lavoro di mani, apprendimento, percezione. La risposta dei cerebri stressati è da un lato una pecorile acquiescenza, dall’altro l’illimitatezza delle depressioni.
Urge, dunque, riappropriarsi della scrittura manuale, della lettera imbucabile, dell’alfabeto e dei suoi caratteri, prodigio della creatività umana, del calcolo eseguito mentalmente. C’è ancora qualcuno cui piacerebbe vincere sul serio una guerra? I rimbecilliti del videogame, forse; non certo gli strateghi del Pentagono o d’Israele! La guerra sèguita a vivere, nel mondo, ma una volta cominciata entra in un irreversibile impotente disperato coma nel brodo del suo disonore. Poco più di cento anni dal War of the Worlds tramato dal genio di Wells, neppure più la guerra interplanetaria attira gli scrittori del genere, il cinema… Nell’insegnamento elementare la comunicazione elettronica dev’essere responsabilmente bandita, il riappropriarsi della scrittura vera partire di là . Ma temo si contino, maestre e direttrici didattiche tanto illuminate.
Il fondo della questione — vedo pensandoci — oltrepassa da un pezzo lo «scrivere meglio» magistralmente messo in luce dal libro, perché il problema essenziale è scrivere. Tenere corrispondenza, annotarsi tutto in un diario, amarsi scriventi (senza amore di sé non soffi neppure una candela), amarsi diversi proprio perché si scrive. Questo che faccio è un Sos disperato, perché senza l’uso costante della grafia manuale il regresso civile e umano delle nazioni può essere spaventoso. Il libro è aperto e indulgente anche per chi abbia pessima scrittura, e sia svogliato nel migliorarla, purché ne abbia una.
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