Report “Morti sul lavoro”: nel 2012 1800 vittime. Primato all’agricoltura

by Sergio Segio | 3 Gennaio 2013 16:57

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ROMA – Anche il 2012 è stato un anno drammatico per il numero di morti sul lavoro in Italia che si conferma al primo posto fra i paesi europei più industrializzati per questo triste primato. Le cifre fornite dall’Osservatorio Indipendente di Bologna, che ogni anno elabora una stima dei decessi distinguendo fra le morti sui luoghi di lavoro e quelle avvenute in itinere lungo il tragitto casa-lavoro/lavoro-casa, parlano chiaro: 1800 vittime nel 2012, di cui 622 decedute sui luoghi di lavoro e  il resto sulle strade, considerate giustamente, secondo la normativa vigente, morti per infortunio sul lavoro a tutti gli effetti. E si tratta di una stima minima al ribasso.

L’Osservatorio considera “morti sul lavoro” tutte le persone che perdono la vita mentre svolgono un’attività  lavorativa, indipendentemente dalla loro posizione assicurativa e dalla loro età . Molte vittime non hanno nessuna assicurazione  o muoiono lavorando in nero. Questo spiega perché  i dati ufficiali forniti dall’Inail, che sono quelli diffusi e utilizzati anche dal Ministero del Lavoro, non coincidono con quelli dell’Osservatorio: le statistiche dell’Inail, infatti, registrano i dati relativi solo ai lavoratori assicurati, tralasciando necessariamente tutti coloro che non lo sono e riportando così un numero di decessi inferiore del 20-30 per cento rispetto ai dati raccolti dall’Osservatorio. Morti invisibili insomma, che spariscono dai resoconti ufficiali.  Inoltre le statistiche Inail non distinguono  fra le vittime decedute in itinere e quelle sul luogo di lavoro, ingarbugliando ancora di più il quadro. Il problema è che in questo modo i cittadini e le istituzioni hanno una percezione completamente alterata del fenomeno che è molto più esteso di quanto comunemente, e trionfalisticamente, si pensi: complici anche i mezzi di informazione che si occupano delle morti bianche solo nei casi più eclatanti e che fanno notizia, secondo i dati ufficiali sembrerebbe che ogni anno il numero di morti sul lavoro in Italia stia positivamente calando. In realtà  però non è così: a ben guardare i dati parziali dell’Inail si nota che calano solo le morti sulle strade soprattutto grazie ai veicoli di ultima generazione che sono tecnologicamente più sicuri. Sui luoghi di lavoro invece, a causa dei minori controlli e della costante diminuzione di risorse in tema di sicurezza, il trend non è altrettanto positivo.

Di solito si ha tende a credere che a morire siano soprattutto gli operai nelle fabbriche, mentre sono “solo” intorno al 7 per cento. E’ il settore dell’ agricoltura, invece a detenere il primato: il 33,3 per cento delle vittime sul totale si registrano in questo comparto, di cui più della metà  sono morti schiacciati dal trattore e rappresentano oltre il 17 per cento di tutti i morti sui luoghi di lavoro. Segue l’edilizia con  il 29 per cento sul totale, la maggior parte dei quali morti per cadute dall’alto o per essere stati travolti da un mezzo da loro guidato o da terzi, o uccisi da materiale su cui stavano lavoravano, o, ancora, fulminati. Poi l’industria che fa registrare un 11,4 per cento di decessi, provocati quest’anno in larga misura dal terremoto in Emilia e concentrati  quasi tutti in piccole e piccolissime aziende in cui spesso la prevenzione è insufficiente. Infine i servizi con un 5,8 per cento, il settore degli autotrasporti con il  6,1 per cento, i soldati dell’Esercito Italiano caduti in Afghanistan  che rappresentano il 3 per cento dei decessi e  il 2,7 per cento nella Polizia di Stato, dove prevalgono le morti avvenute in servizio sulle strade.

Per quanto riguarda la nazionalità  dei lavoratori deceduti, il 10,8 per cento dei morti sui luoghi di lavoro sono stranieri e di questi oltre il 30 per cento sono romeni, mentre la fascia di età  più colpita risulta essere, prevedibilmente, quella maggiormente produttiva: il 21,1 per cento dai 40 ai 49 anni, il 18,4  per cento dai 50 ai 59 anni mentre  il 13,8 per cento ha oltre 70 anni, dato interpretabile alla luce del fatto che in più in là  con gli anni spesso non si ha un perfetto stato di salute e riflessi  si fanno meno pronti.
A livello territoriale invece l’unico parametro ritenuto valido  dall’Osservatorio di Bologna nella valutazione dell’andamento di una provincia e di una regione, è il rapporto tra il numero di morti e la popolazione residente. Gli altri parametri, infatti, non hanno nessuna importanza ai fini della prevenzione e questo perché a morire per una percentuale elevatissima sono lavoratori che non hanno nessuna assicurazione, che lavorano in nero e che nulla hanno a che fare con l’indice occupazionale di una regione o provincia.

In numeri assoluti la Lombardia ha registrato 80 morti e ha già  superato del 2,5 per cento i morti dell’intero 2011 con la provincia di Brescia che risulta prima in questa triste classifica, come negli ultimi anni. Al secondo posto l’ Emilia Romagna  con 63 morti, compresi i lavoratori deceduti sotto le macerie del terremoto del 20 e 29 maggio. Poi è la volta del Piemonte con 43 morti e la provincia di Torino che risulta in questo momento con 21 vittime la prima in Italia, assieme a quella di Brescia. In cifre assolute le regioni più sicure risultano invece la Valle d’Aosta con 2 vittime, il Molise con 4 morti e la Basilicata con 7 morti. Al contrario, se si considera l’incidenza delle morti bianche rispetto al numero dei residenti, la classifica è del tutto diversa: i primi tre posti spettano a Trentino Alto Adige, Abruzzo e Valle d’Aosta mentre le regioni più virtuose, in relazione sempre al numero di abitanti, sono il Lazio, la Campania e la Puglia.

Non sono segnalati a carico delle province i lavoratori morti sul lavoro che utilizzano un mezzo di trasporto e i lavoratori deceduti in autostrada: agenti di commercio, autisti, camionisti e lavoratori pendolari che muoiono in itinere, a causa del traffico, dello stress, della fretta, della velocità . Tutte queste morti, che corrispondono ogni anno al 50-55 per cento di tutte le vittime, sfuggono alle rilevazioni e sono genericamente classificate come morti per incidenti stradali andando ad ingrossare le fila di quelle morti invisibili che, assieme ai tanti lavoratori in nero, non compaiono da nessuna parte.

 

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