Razzi e Scilipoti, quando il vitalizio fa cambiare opinione

by Sergio Segio | 22 Gennaio 2013 7:42

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«Non sono Pietro Micca che gettò la stampella contro il nemico», scrisse l’«onorevole» Antonio Razzi, scambiando l’eroe sabaudo del 1706 con Enrico Toti, per spiegare la sua scelta di tradire Di Pietro per Berlusconi. «Io stò con gli italiani», tuonò sul suo sito Mimmo Scilipoti calcando la scelta con un bell’accento su «stò». Somari, ma patrioti. Non è questo il motivo, però, per cui dovevano essere esclusi dalle liste Pdl. Men che meno per essere passati da una trincea all’altra. Ciò che sconcerta è l’aria di riscossione dei trenta denari. Tanto più dopo il modo con cui Razzi spiegò la sua scelta: «Io penso ai cazzi miei».
Il primo dei voltagabbana, rideva Francesco Cossiga, «fu san Paolo che prima di diventare santo era un persecutore di cristiani». Per non dire di Martin Lutero, che prima di ribellarsi al Papa era un monaco agostiniano. O Winston Churchill, che entrò ai Comuni come conservatore e poi traslocò tra i liberali per tornare infine di nuovo tra i Tories. O Gabriele D’Annunzio che eletto dalla destra si spostò a sinistra. E potremmo andare avanti con Amintore Fanfani, Davide Lajolo o Norberto Bobbio che da giovani fascisti diventarono democristiani e comunisti e azionisti o Lucio Colletti che da comunista finì forzista o Mario Melloni che da democristiano diventò comunista e s’impose come un genio dello sfottò elegante col nome di Fortebraccio.
Insomma, cambiare idea, piaccia o no ai guardiani della fedeltà  cieca e assoluta alla prima casacca, è legittimo. Maurizio Ferrara, il cuore sanguinante per la scelta di Giuliano di abbandonare il Pci per avviarsi sul percorso che lo avrebbe portato a destra, scrisse sul tema un sonetto bellissimo: «Quanno li fiji imboccheno la svorta / e pijeno ‘na via che t’è negata / puro si dentro ciai ‘na cortellata / è guera perza a piagne su la porta». E a chi rinfacciava al figlio di avere tradito rispose a brutto muso: «Se Giuliano ha tradito, ha tradito qualcosa che doveva essere tradito». Ma come lo stesso Giuliano Ferrara disse una volta, «occorre essere all’altezza del tradimento». C’è modo e modo di vivere la svolta. Come osservò Claudio Magris, «dipende dalla qualità  della conversione: la Maddalena non disse mai parole contro le sue ex colleghe né pretese di presiedere un’associazione di vergini».
Ed è lì che Scilipoti e Razzi, al di là  del loro destino personale di cui ci importa un fico secco, sono un simbolo del mestierismo politico che non ha nulla a che fare con la sofferta nobiltà  del cambiare opinione. E avevano ragione, contestando la loro candidatura in Abruzzo, il governatore berlusconiano Giovanni Chiodi e tanti altri pidiellini schifati dalla scelta calata dall’alto.
E chi lo dimentica Mimmo Scilipoti mentre ospite a «Un giorno da pecora» strillava «portate una Bibbia, voglio giurare! Giuro davanti al popolo italiano che nessuno mai mi ha pagato!»? O il congresso di fondazione del suo micro partitino con l’arrivo di una limousine bianca che traboccava di «ragazze in minigonna inguinale su tacco 13»? O le sue sviolinate al Cavaliere che poco prima aveva attaccato come «un dittatore» e un lacchè della Libia, «Paese dove vige il regime dittatoriale e i diritti umani vengono annullati, proprio come sta succedendo in Italia»?
E vogliamo ricordare come il deputato Razzi, emigrato in Svizzera, eletto con l’Idv dopo una campagna tutta contro Berlusconi motivò il suo salto della quaglia fornendo con Scilipoti all’ex odiato Cavaliere i voti indispensabili a sopravvivere nel voto di sfiducia del 14 dicembre 2010?
Lo motivò così: «Io avevo già  deciso da un mese prima. Mica avevo deciso, figurati, tre giorni prima». «Ma come, tre giorni prima avevi detto male di Berlusconi!», gli ribatté il dipietrista Francesco Barbato. E lui: «L’ho detto apposta. Avevo già  deciso». Perché? Per non mettere a rischio il vitalizio se fosse finita subito la legislatura: «Io non avevo la pensione ancora. Dieci giorni mi mancavano. E per 10 giorni mi inculavano». «Ah, lì, il 14 dicembre…» «Sì. Perché se si votava il 28 marzo com’era in programma, io per 10 giorni non pigliavo la pensione. Hai capito? Io ho detto: ché, se c’ho 63 anni, giustamente, dove vado a lavorare io? In Italia non ho mai lavorato. Che lavoro vado a fare? Mi spiego? Io penso anche per i cazzi miei. Io ho pensato anche ai cazzi miei. Non me ne frega. Perché Di Pietro pensa anche ai cazzi suoi… Mica pensa a me. Perciò fatti un po’ i cazzi tua e non rompere più i coglioni. E andiamo avanti. Così anche te ti manca un anno e poi entra il vitalizio. A te non ti pensa nessuno, te lo dico io, caro amico, te lo dico da amico, che questi, se ti possono inculare, ti inculano senza vaselina nemmeno».
Si sfogherà  poi il cotonato gentiluomo, quando gli rinfacceranno la volgarità  del linguaggio e del ragionamento, che quella confidenza l’aveva fatta senza sapere che Barbato lo filmava con una mini telecamera nascosta. E che quella del collega era stata proprio una scorrettezza. Vero: non fu un bel gesto filmare quel dialogo ed altri ancora, come quello di un ex leghista in trattativa: «Ormai è tutto una tariffa, qua. È solo tariffa» «La tariffa tua quant’è?» «Al vostro buon cuore». «No, no, la tariffa la devi fare tu» «Al vostro buon cuore…».
Resta il fatto che le candidature in Calabria e in Abruzzo di Domenico Scilipoti e Antonio Razzi, il Bibì e il Bibò dei «Responsabili», dopo tutte le polemiche intorno alla «nobiltà  del loro gesto» e alla «politica disinteressata» eccetera eccetera, sembrano studiate apposta per restituire ai cittadini, si fa per dire, la fiducia in certi partiti. Quelli che in Parlamento, in altri tempi, strillavano contro «i puttani voltagabbana». E torniamo alla solita domanda: chi lo eccita, il qualunquismo?
Gian Antonio Stella

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