Raul Castro, colpo basso all’Adjustment Act
Solo che negli ultimi anni la stragrande maggioranza delle centinaia di migliaia di cubani che hanno lasciato l’isola per trasferirsi nel poderoso vicino del Nord, lo hanno fatto per ragioni economiche e non politiche. Per questo mantengono stretti legami con la madrepatria, sono contrari al cinquantennale embargo Usa e viaggiano con regolarità (alcuni più volte l’anno) a Cuba per visitare i parenti o per turismo. Così, ogni anno, circa mezzo milione di «esiliati» cubano-americani sbarcano all’aeroporto dell’Avana, molti dei quali con i voli quotidiani da Miami.
Il primo a rendersi conto di questa contraddizione, ovvero di «esiliati» e «perseguitati» che vanno regolarmente in vacanza nel supposto gulag (e soprattutto ne escono indenni), fu l’ex presidente George W. Bush che, violando il suo sbandierato liberismo, decise di limitare i viaggi dei cubano-americani nell’isola e di ridurre le quantità di denaro che essi potevano inviare ai loro parenti a Cuba. Barak Obama fece la sua prima campagna elettorale in Florida promettendo di eliminare queste restrizioni e mantenne la sua promessa. Con il risultato che lo scorso novembre ha vinto anche nella tana degli anticastristi, storicamente legati ai repubblicani.
La nuova legge migratoria cubana, in vigore il 14 , mette in ulteriore crisi la destra repubblicana: adesso infatti è possibile avere (o mantenere) la residenza negli States senza dover rinunciare a quella cubana. La legge migratoria Usa esige di permanere in territorio nazionale un anno e un giorno per avere la residenza, mentre la riforma migratoria cubana permette ai suoi cittadini di permanere all’estero due anni. Così, i nuovi emigrati cubani avranno tempo di ottenere (dopo un anno dall’arrivo negli States secondo il Cuban Adjustmente Act) la green card senza dover rinunciare alla residenza cubana. E soprattutto potranno vivere parte dell’anno a Cuba e parte negli Usa, con buona pace della destra repubblicana che continua a considerarli esiliati o perseguitati.
Tale prospettiva rende furiosi i super falchi cubano-americani repubblicani. I quali non esitano a dare degli ipocriti agli elettori che essi rappresentano (sono infatti eletti in Florida). Ileana Ros-Lehtinen, presidente del Comitato affari esteri della Camera, ha affermato che ora è necessaria una nuova legge per proibire agli immigranti cubani che entrano negli Usa approfittando del Cuban Adjustment Act di ritornare a Cuba per turismo: «Non possono sostenere che a Cuba sarebbero perseguiti per ragioni politiche e poi andarsene in vacanza nell’isola». Il senatore Marco Rubio ha messo in chiaro che «se qualcuno viene in questo paese come esiliato e poi viaggia a Cuba 10 o 12 volte l’anno, allora per noi è difficile tornare a Washington e giustificare lo status speciale concesso ai cubani (unici ad avere la green card assicurata dopo un anno,ndr)… E questo mette in pericolo il Cuban Adjustmente Act». In realtà gli ipocriti solo loro che, per fini politici continuano a considerare qualsiasi emigrante cubano come perseguitato, nonostante che l’anno scorso dei circa 30.000 cubani trasferitisi negli Usa solo 2.954 sono stati ammessi come esiliati o rifugiati.
In sostanza questi leader storici dell’anticastrismo Usa sembrano voler ritornare ai tempi di Bush (junior) e impedire per legge che i cubano-americani possano ritornare a Cuba per turismo. O, più radicalmente, mettere fine ai privilegi di cui godono i cubani che mettono piede negli Usa. In pratica che bisogna chiudere le porte degli Stati uniti per «impedire una valanga di nuovi immigrati cubani». Ed è proprio quello che -secondo il corrispondente a Cuba della Bbc, Fernando Ravsberg – si sostiene a Miami nella sede della Brigata militare 2506, quella che nel 1961 tentò, invano, di invadere Cuba, ovvero che non bisogna più concedere la residenza ai cubani che la chiedono perché questo implicherebbe «una valanga sociale, politica e economica perturbatrice e incontrollabile». Insomma, quelli che accusavano i Castro di tener prigionieri i propri concittadini, «ora sono i critici più duri delle aperture del governo cubano. E coloro che esigevano dall’Avana la libertà di viaggiare, ora chiedono a Washington di chiudere le porte» del Paese.
La crisi evidente del Cuban Adjustment Act , corollario politico dell’embargo Usa, potrebbe fornire a Obama l’occasione per rispondere alle aperture del governo cubano con nuove misure che mettano in discussione il blocco che da cinquant’anni, e senza nessun risultato, gli Stati uniti impongono a Cuba.
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