Quote rosa saudite Le donne ammesse nel consiglio del re
Con un altro decreto l’anziano monarca, 88 anni, ha stabilito che d’ora in poi «non meno del 20% dei seggi» dovrà essere riservato alle cittadine. Un’apertura storica nel regno delle due moschee, culla dell’Islam, in cui le donne hanno lo status di minorenni: non possono viaggiare, lavorare, studiare all’estero, sposarsi, divorziare e persino essere ammesse in ospedale senza il permesso di un tutore maschio.
La svolta di ieri, annunciata nel 2011 quando la stessa Shura approvò il diritto di voto femminile a partire dalle municipali del 2015, ha però un sapore solo simbolico. Il Consiglio Consultivo è in sostanza un Parlamento senza poteri legislativi, il cui ruolo è proporre normative che solo il monarca può varare. Nel decreto è specificato che le «neo-deputate» sono tenute «a rispettare rigorosamente le regole della Sharia, compreso l’hijab». Per loro saranno costruiti un ingresso e dei seggi separati, uno schermo dividerà i due sessi in modo che non possano nemmeno vedersi. Tra le nuove entrate l’ex sottosegretario generale delle Nazioni Unite, Thoraya Obaid e due principesse, una figlia dell’ex re Faisal e una dell’ex re Khaled.
«La decisione è buona — ha detto ieri all’Associated Press Wajeha al-Hawidar, un’attivista saudita — ma le questioni femminili sono ancora tutte da risolvere. Ci sono così tante leggi e misure da sospendere o emendare prima che le donne possano essere trattate come adulte senza il mandato di un guardiano». Per questo su Twitter è dilagata la delusione della parte più moderna della società che chiede passi avanti concreti. Con l’hashtag #the-new—shura—council—does—not—represent—me (Il nuovo consiglio della Shura non mi rappresenta) centinaia di internauti hanno dato sfogo al loro disagio. «Anche se il Consiglio fosse composto solo da donne — ha scritto Abdulla — esse verrebbero comunque oppresse e considerate cittadine di decima serie». «Non vuol dire nulla finché non ho il diritto di eleggere i membri del Consiglio» è il commento di Faisal Alkahtani. «Abbiamo soltanto graffiato la superfice» è il pensiero di Saad Otaibi.
Tuttavia re Abdullah, soprattutto perché pressato dalla primavera araba, ha dato negli ultimi anni segnali di voler cercare di migliorare la situazione, dovendo però pur sempre fare i conti con il potente clero islamico di impronta wahabita. Nel 2009 il re ha inaugurato la prima università mista, nel 2010 ha permesso alle avvocate di aprire studi a proprio nome e di difendere i clienti in aula. Nel 2011, oltre al diritto candidarsi alle municipali del 2015, Abdullah aveva concesso la grazia a una ragazza, Shayma Ghassaniya, in precedenza condannata a dieci frustate per avere sfidato il divieto di guida. Una proibizione contestata da una campagna di protesta ideata dall’attivista Manal Al Sharif che ha commosso il mondo. La scorsa estate, infine, per la prima volta due donne saudite hanno gareggiato alle Olimpiadi.
Un passo avanti e uno indietro. La decisione di Abdullah arriva a tre giorni dalla decapitazione di Rizana, la baby sitter cingalese, minorenne al momento dei fatti, accusata di infanticidio per la cui morte ieri hanno espresso «profondo sconcerto» le Nazioni Unite.
Monica Ricci Sargentini
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