Putin vara la legge anti-gay “Vietato persino parlarne”

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MOSCA — Rappresentano da sempre la più fragile, la meno amata, delle tante opposizioni al governo di Vladimir Putin. Adesso gli omosessuali di Russia stanno per essere definitivamente emarginati per colpa dell’ennesima legge dal gusto sovietico. Con una maggioranza pressoché assoluta il Parlamento russo ha approvato ieri l’estensione a tutto il territorio nazionale di una legge già  in vigore a livello regionale a San Pietroburgo, Kaliningrad ed altre grandi città  russe: il divieto di propaganda omosessuale. Da ora in poi sarà  dunque reato parlare in pubblico dei diritti, degli amori e delle speranze dei cittadini gay. La definizione, strategicamente un po’ vaga, di “propaganda” darà  al giudice la possibilità  di punire con pesanti multe (fino a 15mila euro) artisti, attori ma anche comuni cittadini colti ad esprimere un’opinione in pubblico sulla situazione degli omosessuali. Ma soprattutto mettere al bando o vietare preventivamente eventi, manifestazioni, concerti, che possano essere ritenuti a rischio di “propaganda gay”.
Non siamo al famigerato articolo 121, imposto da Stalin nel ‘34 e abolito solamente nel ‘93, che prevedeva cinque anni di carcere per il reato di omosessualità  ma l’evocazione del passato è evidente e pesante. E tanti anni di omofobia di Stato hanno comunque lasciato un segno. Pochissimi contestatori ieri davanti alla Duma. Solo un gruppetto di giovanissimi iscritti al semiclandestino movimento Russian Lgbt Network, l’unica cellula di attivisti Lgbt (Lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) in tutto il paese, che da anni lotta inutilmente per rivendicare spazi e diritti.
Nell’indifferenza dei moscoviti e dei tanti movimenti di contestazione hanno sfidato le truppe speciali che facevano da guardia al Parlamento, provando a baciarsi in pubblico e a gridare qualche slogan. E’ bastato un solo furgone per portare in cella i trenta ragazzi catturati dopo qualche ben assestato colpo di manganello. Mentre salivano sul cellulare hanno preso qualche calcio e qualche sputo anche dai soliti estremisti della Chiesa ortodossa, sempre in piazza in occasioni come queste. Gli stessi che esultavano davanti al tribunale per la condanna delle Pussy Riot.
In aula intanto si poteva ascoltare una raffica di pareri e di pregiudizi che sono purtroppo largamente diffusi nell’opinione pubblica. «Siamo in Russia, non a Sodoma e Gomorra», diceva uno particolarmente esaltato. «Non è una legge contro gli omosessuali — spiegava in vena di giustificazioni — quanto una via per proteggere la nostra gioventù i cui valori sono minacciati da certi discorsi, certe immagini scandalose ». E i giornali più allineati riportavano con evidenza i risultati dell’istituto di sondaggi più serio del Paese, la Levada Center: quasi il 65 percento dei russi è d’accordo con la decisione del Parlamento. E c’è di peggio: due terzi della popolazione ritiene che l’omosessualità  sia una malattia e condivide la recente decisione dell’esercito russo di radiare ogni “sospetto omosessuale” dal servizio militare.
La mancanza di solidarietà  nei confronti dei giovani malmenati e arrestati del resto parla da sola. Il blogger anti corruzione Aleksej Navalnyj, ritenuto uno dei più coraggiosi oppositori del Cremlino e che attacca ogni giorno qualunque decisione del Parlamento, preferiva rimanere in silenzio. Solo la scrittrice Ljudmilla Ulitskaja, accettava di mettere tra virgolette una dichiarazione contro «una legge medievale che gioca sull’ignoranza di una popolazione ancora dominata da pregiudizi e da retoriche machiste».
Anche Vladimir Putin tace. Sull’omosessualità  ha sempre evitato di esprimere pareri ma ha sempre precisato: «La Russia ha un problema demografico, io ho il dovere di occuparmi dei diritti delle coppie che generano prole».


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