Profughi dal Nord Africa, il comune concede la residenza

by Sergio Segio | 3 Gennaio 2013 16:54

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MILANO – Il Comune di Pieve Emanuele concede la residenza agli 81 profughi dal nord Africa, ancora ospiti del residence Ripamonti. “È l’unico modo per dar loro la possibilità  di trovare lavoro e potersi muovere con documenti in regola”, spiega Paola Battaglia, assessore alle Politiche sociali. Una decisione che molti altri comuni, per esempio quello di Milano, non hanno ancora preso. Il 31 dicembre si è chiuso il Piano emergenza nord Africa, ma il Governo Monti ha deciso di prorogarlo di altri due mesi, anche se con fondi ridotti: in Lombardia i profughi sono 3 mila, di cui 750 nella provincia di Milano e gli enti che li ospitano fino alla fine di febbraio incasseranno 35 euro al giorno a persona invece dei 46 finora percepiti. A Pieve Emanuele questo ha comportato la chiusura dei progetti di assistenza delle cooperativa Lule: corsi di lingua, sportello legale e accompagnamento sociale.

“Per tamponare la situazione in questi giorni si è creata una rete di associazioni locali: Croce rossa, Chiesa evangelica, Associazione poliziotti italiani, Emanuele dio è con te (un’altra chiesa evangelica, ndr), Associazione carabinieri e Caritas parrocchiale -aggiunge l’assessore-. Garantiranno per due mesi i servizi gestiti prima dalla Lule”. E dopo? Ogni Comune sta cercando di trovare una soluzione. Il 10 gennaio ci sarà  un vertice nella Prefettura di Milano con i sindaci coinvolti nell’accoglienza per capire come evitare che i profughi finiscano in strada. “Faremo di tutto per aiutarli -aggiunge Paola Battaglia-. Ci auguriamo che con i documenti in regola possano trovare un lavoro o raggiungere parenti o amici in altre parti d’Italia. Il nostro comune conta 15mila abitanti e non possiamo farci carico anche di trovare loro una casa”.

In dicembre il Governo ha deciso di concedere ai profughi un permesso di soggiorno per motivi umanitari, che è possibile poi convertire in un permesso per motivi di lavoro. All’inizio dell’emergenza, nel 2011, il Governo, allora guidato da Silvio Berlusconi, non aveva voluto concedere la protezione umanitaria e i profughi erano stati invitati a presentare una richiesta d’asilo. Molti, come prevedibile, non l’hanno ottenuto e hanno fatto ricorso. Di fatto sono rimasti incastrati nella burocrazia italiana. Solo nel dicembre scorso la situazione si è sbloccata: il vantaggio della protezione umanitaria è che prevede la possibilità  di cercare un lavoro, cosa che non può fare chi è in attesa di ricevere lo status di rifugiato politico. “Ora però in due mesi si pensa di recuperare il tempo perduto. È assurdo”, sottolinea Chiara Bendiscioli, presidente della cooperativa Lule. (dp)

 

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