“Più fallimenti e meno divorzi così la crisi cambia la giustizia”

by Sergio Segio | 4 Gennaio 2013 9:17

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MILANO — La crisi economica letta attraverso le lenti della giustizia. Meno divorzi, che costano, e più cause di lavoro perché le aziende non pagano le liquidazioni. È la prima volta in Italia che un tribunale legge se stesso e il territorio che lo circonda, e se questo territorio è Milano, città  traino dell’economia, l’elenco dei dati diventa come una specie di mappa per affrontare un oscuro e sconosciuto labirinto. A cominciare da uno di questi dati, davvero sorprendente: il tribunale, con tutto il suo armamentario di magistrati, cancellieri e impiegati, costa la bella cifra di quasi settanta milioni di euro. Tantissimi. Ma, per quanto incredibile possa sembrare, ne rende più del doppio. E, come spiega Livia Pomodoro, presidente del tribunale, il volumetto di 58 pagine appena stampato, con i dati di giustizia incrociati con dati della crisi, sarà  consegnato da Confindustria «a tutte le imprese che verranno qui per l’Expo. Se qualche contenzioso ci sarà , o se emergeranno questioni che si possono risolvere da un punto di vista giudiziario, tutti devono sapere che qui è come se fossimo a Oslo o a Copenaghen».
Questa non è un’esagerazione, presidente Pomodoro?
«A Milano abbiamo tempi e metodi di grande efficacia e pensiamo che si possa, e si debba fare lo stesso, in tutt’Italia».
Presidente Pomodoro, possiamo partire da un dato reale, mai letto sinora, e davvero spaventoso? I fallimenti sono aumentati quest’anno, sino ad agosto, a più del 91 per cento.
«E’ sconvolgente, ma è così. E siccome è così da un po’, ci siamo attrezzati con due mosse. Una è stata ridurre i tempi dei processi. Adesso il tempo medio della definizione è di 503 giorni, è calato del 26 per cento, i fallimenti non pendono per un tempo infinito, con i creditori che si lamentano. E abbiamo dato maggiore impulso ai concordati preventivi e agli accordi di ristrutturazione. Basti pensare all’ospedale San Raffaele, dove si stanno già  pagando i creditori. È un caso esemplare Italia, citato nelle riviste di diritto fallimentare».
Però fa impressione lo stesso, apprendere di questa decimazione di aziende milanesi che non ce la fanno più.
«Quello che spetta a noi è fare in modo che i creditori si fidino di più del tribunale. Più è bravo il tribunale, più la giustizia è certa, più l’imprenditore sano cercherà  di
ripartire. Nei casi più grossi, grazie agli accordi si arriva a una conclusione più rapida, e il denaro torna in circolo».
Leggendo i vostri dati, emergono altri dati che nascono dalla crisi. Uno è l’aumento delle “esecuzioni”, cioè vengono portate via case e auto a chi non ce la fa a pagare.
«Sì, i dati parlano chiaro, sono 4.538 i nuovi procedimenti delle esecuzioni immobiliari, e 14.852 le esecuzioni mobiliari. E bisogna leggerli insieme con le difficoltà 
delle vendite all’asta. È vero che abbiamo ridotto le spese, passando dal 30 per cento dell’attivo ad appena il 5 per cento, ma molte aste vanno deserte. Ci sono meno soldi in giro e l’incapacità  di pagare mutui, spese per affitto, condomini diventa evidentissima e può sfociare in questi provvedimenti ».
È lo stesso accade nei divorzi, come si lamentano i civilisti, giusto?
«Certamente. Se le procedure in cui marito e moglie sono d’accordo restano stabili, si sono ridotti notevolmente i divorzi con cause giudiziarie. Il che significa che adesso, finché non passa la crisi, si sospendono e si evitano le contese, che comportano anche spese di avvocati. Altro segnale importante, l’aumento del 6 per cento di chi vuole modificare le condizioni di separazione o divorzio. Chi pagava “troppo” stringe i cordoni, chi prendeva “poco” dice che non ce la fa più».
I magistrati di Milano si vantano di aver smaltito l’arretrato nei processi penali, è vero presidente?
«Noi abbiamo varato un piano strategico sull’efficienza. E l’indice di ricambio dei procedimenti, che misura la capacità  di finire i processi mentre altri ne cominciano, è del 101,5 per cento nel penale e del 121,5 nel civile. E cioè, abbiamo ridotto le pendenze nei due settori, non solo nel penale».
Quanto ci vuole oggi per arrivare a sentenza penale?»
«Meno di cinque mesi se la causa di discute davanti a un solo giudice, meno di dieci per il rito collegiale. Siamo arrivati a 2,4 mesi in meno rispetto alla media nazionale. Ogni anno ci sono 800mila atti cartacei, stiamo facendo da apripista per averli il prima possibile telematici, anche perché a Milano esiste il corpo avvocati più telematizzato d’Italia, e gli va riconosciuto. Siamo sotto gli occhi dei cittadini, nonostante la crisi e i tagli studiamo ogni mossa possibile».
«Sotto gli occhi dei cittadini» è una parola grossa, presidente.
«Eppure, quello che sta leggendo è il primo e unico bilancio in Italia collegato con il territorio. Nei nostri uffici, grazie ai fondi Ue e alla collaborazione con la Provincia, impieghiamo cassintegrati e lavoratori in mobilità . E studiamo, ci siamo accorti come gli appalti al “massimo ribasso” concessi a cooperative senza scrupoli stia ricadendo sul settore pubblico, che paga una parte dello stipendio ai lavoratori delle ditte appaltatrici in crisi»
I costi della giustizia restano altissimi?
«Abbiamo fatto i calcoli, noi come macchina della giustizia costiamo siamo costati quest’anno 28 euro a cittadino, per 70 milioni di euro totali. Ma — e questi dati sono per difetto, avendo atti coperti da segreto istruttorio — sono ben 163 milioni di euro i valori diciamo incamerati. C’è la ‘ndrangheta al Nord? Bene su impulso della procura distrettuale antimafia, la sezione autonoma delle misure di prevenzione ha recuperato beni per 118 milioni di euro. In tutta la Lombardia, le aziende sequestrate sono 211, un dato altissimo. La verità  è che costiamo meno, e funzioniamo di più. Siamo una risorsa e a Milano e personalmente vorrei che quanto prima fossero dei nonmagistrati, delle persone fuori dall’ordine giudiziario a verificare ogni nostro passo, in nome della responsabilità  sociale. Non abbiamo paura a dire: “Guardateci dentro”».

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