Pirellone, tangenti anche sugli autonoleggi “Un sistema con Formigoni al vertice”

by Sergio Segio | 23 Gennaio 2013 8:26

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MILANO — Gli appalti si creavano apposta per gli «amici». Si studiavano nei dettagli, ci si scambiavano e-mail (almeno 15mila quelle intercettate dal Nucleo investigativo dei Carabinieri), e si ritagliavano gare su misura per vincere facile, sbaragliando la concorrenza. Com’era per Tangentopoli, così è successo in questi anni, e lo schema calza alla perfezione per undici appalti — importo complessivo 11 milioni e 100 mila euro — pilotati dalla società  d’intermediazione di Saronno, Kaleidos, dal 2005 fino a pochi mesi. I boss della Kaleidos «sono — scrivono i detective — tutti inseriti nel Direttivo della Compagnia delle Opere di Saronno», e non era una coincidenza, ma la «specialità » per sottomettere funzionari pubblici compiacenti.
APPALTI E RELAZIONI
I sedici ordini d’arresto dell’operazione Cyrano nascono da un’indagine coordinata dai pubblici ministeri Paolo Filippini e Alfredo Robledo, che scopre questo «sentire comune» intorno alla Kaleidos, inserita in «un circuito di relazioni imprenditoriali». L’Azienda regionale che controlla l’edilizia Popolare (Aler), ha bisogno di cambiare il parco macchine? La Kaleidos si interessa, individua le ditte private, ritaglia l’appalto su misura e intasca una provvigione (intorno al 3,5% dell’intero affare). Non proprio bruscolini, visto che in sette anni, secondo l’accusa, ha messo le mani su 350 mila euro. Una somma definita dal gip Giuseppe Gennari «incredibile in presenza di una gara pubblica». Non solo Aler, però. Nel mirino sono finiti anche i manager di Metropolitane milanesi, di Ferrovie Nord, degli Istituti clinici e del Comune di Como. Le accuse sono di corruzione e turbativa d’asta. In carcere sono finiti i vertici della Kaleidos, e la funzionaria Aler, Monica Goi. Agli arresti domiciliari altre nove persone, in gran parte funzionari pubblici.
LE “GARETTE”
Kaleidos, organica alla Cdo, riusciva ad «avvalersi di una rete di contatti vantati dai dipendenti e vertici della società  con funzionari appartenenti a diverse amministrazioni ». Poi, facendo leva su questi rapporti, riusciva «a pilotare le aggiudicazioni delle gare». O, come le definivano gli stessi indagati per telefono, «le garette», visto
il largo anticipo con cui stabilivano chi se le sarebbe aggiudicate.
I BANDI PILOTATI
Il sistema variava a seconda delle «garette». Nell’assegnazione degli appalti «ad invito», i manager della Cdo di Saronno fornivano «ai funzionari pubblici i nominativi degli operatori da invitare, facendo in modo che una sola ditta rispondesse ai requisiti». Nelle «gare» a «offerta più conveniente », invece, predisponevano direttamente «il bando». In quelle al «massimo del ribasso», infine, «facevano inserire fattori idonei a disincentivare la partecipazione di ditte concorrenti». Piazza pulita di ogni estraneo, inventandosi — parole ancora dei magistrati — «invitati tarocchi, che sono lì solo per fare numero e rendere formalmente regolare la procedura». A volte, scientificamente, si autoescludevano: «È arrivato il bando — si scrivono per e-mail due indagati —. È quello al quale non dovevamo partecipare, giusto?».
LA CORRUZIONE E I CIELLINI
È dunque questa storia semplice e tragica di appalti con il trucco che fa usare al giudice Gennari l’aggettivo «pericoloso». Perché l’obiettivo di far vincere i «prescelti » obbliga a cercare il sostegno di «sicuri alleati», e cioè gli amici «connotati dalla comune adesione/ condivisione ideologica al gruppo di Cl», di Comunione e Liberazione. L’argomento, qui nella Lombardia di Roberto Formigoni e dei Simone&Daccò, coinvolti in un’altra inchiesta che sembra in dirittura d’arrivo, crea da anni polemiche roventi. Ma se gli «atteggiamenti di mutuo sostegno » tra imprenditori privati sono leciti, «quando si parla di società  pubbliche si traducono in comportamenti che costituiscono reati», come la corruzione e la turbativa d’asta. Lo scambio di favori pubblico-privato innesca dunque (e come dare torto a questa logica?) «comportamenti ben più pericolosi della banale corruzione per denaro, perché radicati su un sentire comune che non ha “prezzo”».
“VOGLIONO FAR CADERE FORMIGONI”
Uno di quelli finiti in carcere ieri, Oreste Ceriani, era intercettato. Lo si sente preoccupato, perché «la temperatura si sta alzando», e il riferimento è alle inchieste in corso. Parla con un suo amico, e sbotta: «Vogliono far cadere Formigoni ». Risposta: «Scusami, non possiamo puntellare l’impero romano in decadenza, non possiamo salvare il mondo, pensa alla tua azienda».
Lo scambio di idee viene ritenuto importante, perché «traspare con assoluta evidenza la consapevolezza dell’appartenenza a un mondo che vede — si legge nell’ordinanza degli arresti — il suo vertice politico istituzionale nel presidente della Regione». Formigoni non è indagato e ieri anche il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati ha detto che le responsabilità  penali sono «personali», non si attribuiscono ai gruppi. Ma è evidente che se «la temperatura si sta alzando», è anche perché l’eccellenza della Lombardia consisteva nel controllare molto poco «gli amici», e nel permettere solo ad alcuni «amici» di fare soldi facili, tanti soldi facili.

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